L’ottavo giorno di Venezia 74 è all’insegna di Ammore e Malavita, il musical dei Manetti Bros che racconta Napoli in concorso. Nella stessa sezione presentato Sweet Country, opera seconda del regista australiano Warwick Thornton. Fuori Concorso presentati Happy Winter dell’italiano Giovanni Totaro, la serie TV di Errol Morris Wormwood e Loving Pablo dello spagnolo Fernando León de Aranoa con la coppia Penélope Cruz e Javier Bardem.
Happy Winter
Giovanni Totaro ci porta sulla spiaggia di Mondello per girare il suo Happy Winter, un titolo inglese per un film “palermitano”: “In modo naturale si è arrivati al titolo in inglese, rispetto a Buon Inverno, fa più effetto senza snaturare il film”, racconta il regista.
“Il titolo rappresenta anche la crisi identitaria, si usa l’inglese con l’italiano, c’è sempre questa voglia di evadere, non è solo accattivante, ma racconta anche il senso dell’esterofilia”, ha spiegato il produttore Simone Catania.
Wormwood
La miniserie Wormwood racconta la misteriosa morte di uno scienziato militare nella seconda guerra mondiale. Errol Morris si è ispirato alla storia della scomparsa del padre:
“È la storia di mio pare, uno scienziato dell’esercito, uno scienziato che si occupava di armi biologiche e uno straordinario fotografo. Il film su questa tematica non avrebbe mai visto la luce. Ho avuto l’opportunità di vederlo come un personaggio”.
Molly Parker interpreta un personaggio realmente esistito e questo rende l’interpretazione totalmente differente. Eric Olson: “La storia segue i limiti di ciò che si può raccontare e il non detto”. Woodword parla comunque di “un omicidio e di come il governo degli USA abbia insabbiato tutto per confondere le persone o per distruggere le prove. Ho fatto l’investigatore privato per anni, puoi incappare in qualche confabula, ma stai lottando con un’organizzazione governativa come la CIA che decide di evitare di pubblicare la verità”.
In Woodword Amleto gioca un ruolo improtante: “Era una persona che capiva quello che stavo vivendo”. Sul perché è diventata una serie TV e non un film: “Qualcuno deve pagare per vedere un prodotto finito, la verità sta finendo nel dimenticatoio ed è sempre più difficile da trovare, questa è un’opportunità difficile da trovare”.
Nel cast Christian Camargo e Molly Parker entrambi non hanno esitato a prendere parte al progetto Wormwood. Morris, noto per la sua lunga carriera da documentarista, è tornato sull’idea di verità: “Lo so che al momento negli States è stata degradata. Siamo certi che il padre di Eric sia stato ucciso dalla CIA, ma per citare Shakespeare: “Di’ la verità e svergogna il diavolo”.
Sweet Country
Warwick Thornton torna con Sweet Country dopo aver incantato con Samson & Delilah. Il regista aborigeno porta sullo schermo un western ambientato nel Territorio del Nord che sottolinea i difficili rapporti fra aborigeni e inglesi. Rapporti tesi ancora oggi.
Sweet Country è stato scritto dallo stesso Thornton e da David Tranter: “Con lui siamo cresciuti insieme, ci siamo conosciuti quando avevamo sei anni ad Alice Springs”. Warwick Thornton torna dopo il successo di Samson & Delilah: “Ho pensato di fare questo secondo film dopo il successo che avevo ottenuto con Samson & Delilah, non volevo che la gente pensasse che ero finto. Questo è il mio secondo “album”: come fosse uno dei Zeppelin o dei Kiss”.
È ancora utile parlare oggi della relazione difficile fra bianchi e aborigeni: “Le relazioni nel centro dell’Australia sono sempre state difficili, è sempre un problema. In Sweet Country parlo della genesi del problema: aborigeni costretti a lavorare su terre che gli erano state espropriate, senza essere pagati, e con una generazione che li elimina. Il film affronta come sono nati i problemi che ancora esistono oggi”.
Gli aborigeni hanno una lunghissima tradizione orale, come s’inserisce la cinematografia in questo: “Quella tradizione orale è arrivata fino a noi: i valori, i ricordi, il passato e il nostro futuro. La storia di 40mila anni fa e i suoi oratori sono arrivati fino ad oggi, noi stiamo solo traducendo in film tutto questo”.
Sweet Country è raccontato con l’alternanza di flashback e flashforward: “Voleva essere un omaggio al racconto orale, ha a che fare con il passato e hanno aiutato a raccontare questa storia. Pensiamo più spesso al futuro e meno al passato”.
Anche l’attore Bryan Brown s’inserisce nella conversazione: “Al di là delle relazioni fra bianchi e aborigeni, c’è altro: c’è l’isolamento e come vivere in isolamento. Inoltre ho integrato un personaggio che tutti avrebbero odiato”.
Il neozelandese Sam Neill è l’unico bianco che nel film riconosce gli aborigeni come esseri umani: “Ho portato luce in questo personaggio, riconosce gli aborigeni come esseri umani. Se pensate che hanno ottenuto il diritto di voto solo nel 1967”. Warwick Thornton è stato aiutato dai suoi attori.
L’Australia attuale resta un sistema complesso: “Non abbiamo avuto crisi, stiamo pensando di unirci all’UE visto che la Gran Bretagna è fuori, ma il dialogo è lento. Si riesce a parlare anche con le persone giuste, ma puoi avere risposta in cinque giorni o in cinque mesi. Almeno ci sono delle persone buone con cui dialogare”.
“Tutti odiano tutti e non si fa cosa è necessario per gli altri”, aggiunge Brown. “Abbiamo dimenticato il nostro passato e cosa abbiamo vissuto, più ti guardi indietro, più capisci il tuo Paese”, spiega il regista. Il titolo si deve al primo lavoro del nonno di David Tranter: “Raccoglieva angurie”. Mentre per realizzare questo western, Warwick Thornton si è ispirato a Lo chiamavano Trinità: “L’ho visto tantissime volte in VHS, potrei anche dirvi John Ford, ma in Trinità tutti facevano qualcosa di sbagliato, gli antieroi erano meravigliosi. Quest’essenza kitsch si univa bene al genere”.
Ammore e Malavita
Il musical degli italiani Manetti Bros è il terzo film italiano in concorso: Ammore e Malavita parla di Napoli, ma una Napoli fuori dagli schemi, come spiegano i due fratelli registi:
“Napoli è una città fuori dalle righe, è la città delle emozioni forti”, spiega Marco Manetti. “È la capitale italiana della cultura italiana: teatro, musica, cinema, è al top su tutto”, aggiunge Antonio Manetti.
Ammore e Malavita presenta una struttura simile a una lunga partitura: “Lo dobbiamo ad Aldo e Pivio De Scalzi i due autori della colonna sonora. Abbiamo lavorato con estremo equilibrio alla musica e alla non musica, come modello abbiamo preso Grease”.
Le coreografie curate da Luca Tommassini si sposano alle canzoni originali. Presenti a Venezia anche i protagonisti: Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Rais, Claudia Gerini e Carlo Buccirosso. Per Morelli il film è un “omaggio alla sceneggiata napoletana, la parte cantata è diversa rispetto ad altri musical e serve ad aumentare le emozioni”. Diversa l’esperienza per Raiz, l’ex voce degli Almanegretta: “Faccio il cantante, ho fatto prosa in mezzo alle canzoni, spesso chi canta deve spiegare cosa dice quando canta, ci si ferma e poi si va avanti. La scena napoletana è la versione napoletana del musical”.
Claudia Gerini è Donna Maria, la donna del boss del pesce Buccirosso: “Non ho avuto molte difficoltà a ballare e a cantare”. Per Carlo Buccirosso Ammore e Malavita non è un musical: “Bisogna recitare come se non lo fosse, ho dovuto cantare come se fossi il mio personaggio e nella prima scena sono morto”.
Antonio Manetti ha ringraziato il padre della sceneggiata napoletana Pino Mauro: “Ci tengo a precisare che è un film, non deve avere una piena aderenza con la sceneggiata napoletana”. Per altro la musica è stata composta da due genovesi.
Claudia Gerini è la moglie del boss e si è dovuta adattare al napoletano: “Mi piacciono le lingue, ho anche origini napoletane e questo mi ha aiutato, ma c’era una dialogue coach che mi aiutava perché non volevo che fosse una caricatura. La mia sfida era quella di parlare napoletano e credo di averla vinta”.
I Manetti Bros non credono che Ammore e Malavita abbia subito un effetto La La Land: “Marco, per esempio, non l’ha visto, e avevamo finito di editarlo quando La La Land ancora non era uscito”, ha risposto Antonio Manetti.
In una scena di Ammore e Malavita si prende in giro Gomorra: “È una presa in giro di Gomorra e del gomorrismo, e di un certo tipo di giornalismo. Si tende a rappresentare Napoli come una città cupa e le Vele di Scampia sono diventati il simbolo di Napoli, invece, del suo splendido Golfo”.
Loving Pablo
Loving Pablo racconta la storia d’amore fra Pablo Escobar e Virginia Vallejo. Diretta da Fernando León de Aranoa ed è interpretato da Javier Bardem, anche produttore, e Penélope Cruz. Da anni l’attore spagnolo voleva interpretare il re dei Narcos:
“Una delle cose che m’interessava di più è capire che cosa ci fosse nella testa di questo personaggio, e in generale le persone che abitano questo pianeta. In questo caso un padre affettuoso e un uomo che aveva inflitto moltissimo dolore ad altri genitori, questa contraddizione tremenda mi sembra un punto interessante da approfondire. Tutto quello che mi arrivava era vuoto, ho aspettato molti anni per avere una lettura del personaggio che avesse tutti i colori di un essere umano. L’attore non giudica: Pablo Escobar e Adolf Hitler non sono arrivati su una navicella spaziale, sono stati cresciuti da famiglia, qualcosa li ha reso quello che sono”.
“È importante spiegare cosa succede, il perché succedono alcune cose, lo è in questo caso e anche in quello del Messico, dove oggi c’è una situazione ben peggiore rispetto alla Colombia di Escobar”, aggiunte l’attore spagnolo al Lido anche con mother!
L’altra protagonista è Virginia Vallejo, interpretata da Penélope Cruz: “L’ho conosciuta attraverso i video e volevo capire come funzionasse la sua testa: una donna che arriva ad amare Pablo. Il cinema non ha nessuna responsabilità, il mondo dei narcosi è attrattivo, ma anche il dolore è reale. Nel film vediamo Pablo attraverso gli occhi di Virginia, non sapeva di essere in pericolo, la sua vita è stata segnata per sempre da Pablo Escobar”.
È discutibile la scelta di recitare in inglese e non in spagnolo: “La lingua determina chi siamo, ma è un veicolo. Scrivere una storia e interpretarla non dipende dalla lingua in cui viene fatto. In Loving Pablo abbiamo usato anche moltissimi molti attori colombiani eccetto Javier e Penélope e abbiamo scelto di farli recitare in colombiano, ma l’obiettivo è parlare del film senza accento”.
Javier Bardem è anche produttore e ha spiegato: “Un film di un certo budget è difficile da realizzare in altre lingue che non siano inglese. Film come il Dottor Zivago o Antes Que Anochezca l’emozione va oltre la lingua in cui parlano due protagonisti. La lingua è un mero veicolo, certo è ideale girare un film nella propria lingua, ma bisogna chiedersi anche fin dove vuoi arrivare. Non penso che come attori, produttori e registi abbiamo lasciato qualcosa dietro”.
Penélope Cruz spiega, in inglese, che la lingua non è neanche un determinante rispetto alla classe di appartenenza: “Ci sono ricchi che parlano spagnolo e inglese”. “Parlano anche in accento colombiano e abbiamo girato nei luoghi storici: questo aggiunge autenticità al film”, aggiunge il regista León de Aranoa.
“Le location fedeli, la ricerca di autenticità è presente nel film, abbiamo girato in alcuni posti usati dalle equipe di ricerca di Bogotá”, ha aggiunto. Javier Bardem appare trasformato nel film: “Le trasformazioni non sono importanti, ma in questo caso il peso fisico è importante. Il peso era nei chili, c’erano costumi, trucco, più che avvicinarsi a lui mi dava l’idea aveva un presenza fisica, un carattere forte, questa contraddizione mi interessava”, ha spiegato Javier Bardem.
L’animale preferito di Pablo Escobar era l’ippopotamo, cosa ha imparato l’attore spagnolo dal re dei Narco: “Il mondo dei narcos ha una lettura pericolosa, bisogna studiare chi si sta appoggiando, è un tema importante ancora oggi”.