Tutte le città italiane grandi o piccole vivono delle criticità, dei problemi che non possono essere completamente risolti.
Ma nessuna come Roma è stata ed è continuamente presa di mira. Nella Capitale la profonda e irrisolta crisi dei servizi essenziali, dall’immondizia ai trasporti, non fa che alimentare proteste, rabbia e sconforto e travalica i confini delle cronache locali diventando un caso nazionale (e non solo).
Tuttavia Paolo Conti, sul Corriere della Sera rispondendo a un lettore interessato ad un parere sul bilancio dell’anno trascorso, riconosceva che la giunta Raggi – con tutti i suoi chiari limiti, gli intollerabili ritardi e le colpevoli omissioni – non è l’unica responsabile dello spaventoso dissesto, dovuto invece a colpe storiche.
Ma anche individuare qualcosa di migliorato, nonostante l’approccio volutamente trasparente e il frequente turn over di poltrone, risulta difficile. Soprattutto a fronte dell’aspettativa creata dal rinnovamento sbandierato in campagna elettorale da Virginia Raggi, e dal “gran suggeritore” Beppe Grillo.
L’aggravarsi della crisi della Città ha spinto il governo ad intervenire. Il Ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda ha invitato allo stesso tavolo istituzioni locali e parti sociali che hanno così preparato un’agenda ricca di interventi. Ma con la vicina tornata elettorale, l’eventuale fine del governo Gentiloni e l’uscita di scena di Calenda, è probabile che il Tavolo su Roma sparisca, a meno che – come ci ha confidato lo stesso Ministro – il sindaco Raggi, esca dall’angolo in cui si è volutamente messa e colga l’occasione per diventarne la protagonista.
Tanto più che, lasciate alle spalle le elezioni, sarà incoraggiata anche dal fatto di essersi liberata della pesante responsabilità di “portabandiera” delle capacità politiche e gestionali dei 5 stelle. Questo ruolo ha certamente appesantito le critiche alla sua Amministrazione e influito negativamente sulla sua immagine.