Nelle casse di Roma Capitale sarebbero dovuti entrare tra il 2008 e il 2016 oltre 4 milioni che, invece, non sono mai arrivati a causa del mancato aggiornamento del canone della concessione per la gestione dell’autostazione di Roma Tiburtina, rimasto fermo al 1999.
Ad accertarlo è stato il Nucleo anticorruzione della Guardia di Finanza in un’indagine coordinata dal vice procuratore generale della Corte dei conti di Roma Rosa Francaviglia. Dagli accertamenti è emerso che il danno erariale, a titolo di colpa grave, è riconducibile a 6 dirigenti del Campidoglio: sarebbero stati loro, secondo le indagini, una volta scaduta la prima concessione nel 2008, a rinnovare il contratto alla società ‘Ti.Bus. Srl’ alle stesse condizioni economiche fino al 31 marzo del 2016. Di fatto la società ha continuato a pagare quel che pagava nel 1999, 91 milioni di lire, circa 47mila euro.
Ma nel corso degli anni il numero delle corse dei bus delle varie compagnie che fanno riferimento all’Autostazione e i relativi prezzi sono “notevolmente aumentati” dice la Gdf. Nel rinnovo del contratto, inoltre, non è stata neanche valutata “l’effettiva remuneratività delle ulteriori infrastrutture nel frattempo realizzate sul suolo pubblico e per le quali la Ti.bus ha percepito considerevoli importi dai privati” per l’affitto dei locali commerciali. All’attribuzione delle responsabilità ai 6 dirigenti capitolini la Gdf è arrivata esaminando tutti i documenti relativi alla concessione, analizzando i dati del traffico relativi all’autostazione. Dal marzo del 2016 la stessa Roma Capitale ha intimato alla società Ti.Bus. di abbandonare l’area, considerandone abusiva l’occupazione.