Nell’area metropolitana di Roma ci sono almeno 900 mila persone sopra i 65 anni. Li potremo definire anziani, e oramai è certo che quella fascia di età è la più a rischio per quanto riguarda il COVID. La Comunità di Sant’Egidio ribadisce che con l’assistenza a casa diminuiscono le morti, e ci si ammala anche di meno.
D’altronde, per il virologo Massimo Clementi dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, è “probabile che il sistema delle Rsa, se da un lato è funzionale per la gestione dei pazienti anziani, in troppe occasione durante la pandemia ha prestato il fianco al virus. E questo è stato un grave errore”.
La Comunità di Sant’Egidio di recente ha presentato i risultati di un’inchiesta condotta su 6500 anziani di tre regioni (Lazio, Liguria e Piemonte) che beneficiano del programma “Viva gli Anziani!” sperimentazione che la Comunità porta avanti con il Ministero della Salute. Nei mesi del lockdown totale, rivelano i dati, tra gli anziani assistiti nelle proprie case è risultato un tasso di mortalità inferiore del 20% rispetto a quelli ospiti delle Rsa. Rimanere a casa dunque fa la differenza.
“Bisogna allargare l’assistenza domiciliare integrata, che in Italia è irrisoria. Ogni anno – afferma il presidente della Comunità Marco Impagliazzo – solo 16 ore di assistenza sono assicurate a ogni anziano. Fingiamo che ci sia una rete territoriale presso le dimore private ma la realtà è ben diversa perché le uniche persone che possono assicurare l’assistenza sono le badanti», oltre un milione in Italia ma in molti casi ostacolate da problemi burocratici e di regolarizzazione. Un’altra proposta è quella dell’allargamento del cosiddetto co-housing, ovvero l’uso di alloggi privati corredati da ampi spazi comuni destinati alla condivisione. Possibile solo, come ha spiegato Impagliazzo, con una serie di «incentivi, alloggi protetti e contributi negli affitti», anche per «dare la possibilità di autodeterminazione agli stessi anziani per cambiare casa o andare a vivere con altre persone”.