Atac: il concordato fa scattare il boom di consulenze

Un milione e 600 mila eur per prestazioni professionali affidate al di fuori della società. Lo rivela la Corte dei conti che ha analizzato i bilanci 2016 e 2017 denunciando criticità nella spesa per incarichi professionali

Atac non riesce ad ingranare la marcia giusta. Intanto il concordato preventivo in continuità gonfia la spese per consulenze e prestazioni professionali che lievitano di un milione e 600mila euro, passando dai 4,7 milioni del 2016 ai 6,3 milioni dell’anno successivo. La sola relazione del professionista indipendente necessaria alla procedura avviata a settembre 2017 è costata poco più di 665mila euro. Con uno sforamento di 25mila euro del tetto massimo concordato con il Campidoglio. Lo riferisce la Corte dei conti nella deliberazione sulla gestione delle partecipazioni societarie di Roma Capitale in cui parla anche di 280mila euro andati a favore di un avvocato per “attività di consulenza e assistenza nella presentazione della domanda di concordato preventivo”. Anche in questo caso, 10mila euro in più del costo concordato.

E poi ancora altri 46mila euro per servizi legali di “consulenza sui profili di diritto societario attinenti alla procedura”. Peccato però che “il parere fornito dal professionista, attenga alla compatibilità tra direttore generale e presidente del consiglio di ATAC S.p.a. e, pertanto, a materia del tutto estranea a quella concordataria” come spiegano i magistrati contabili che denunciano anche la violazione di procedure interne per l’assegnazione delle consulenze, frammentate su più esperti invece che assegnate in blocco. Argomento contestato dall’azienda che ritiene il parere fornito sulla questione della compatibilità delle cariche di direttore generale e presidente “un passaggio procedurale di fondamentale importanza”.

Ma il peggio è che, secondo la Corte, le procedure per l’assegnazione degli incarichi non sempre seguono le linee indicate dai regolamenti interni. Nel dettaglio, per quanto concerne la parcella da 665mila euro, “ATAC aveva selezionato il professionista “attestatore” dopo avere individuato tre curricula e svolto altrettanti colloqui con i rispettivi “titolari”. Ma in realtà l’azienda “avrebbe dovuto effettuare una selezione concorrenziale delle offerte, ancorché informale, in conformità ai principi di economicità e trasparenza previsti dalle richiamate norme, senza limitarsi ad una selezione solo curricolare ed ai successivi colloqui con i professionisti” come scrivono i magistrati contabili.

Un argomento che il Campidoglio contesta ponendo questioni di lana caprina sul fatto che l’appalto riguardi o meno i “servizi legali” e dunque richieda o meno date procedure che vanno comunque a vantaggio della trasparenza nell’interesse dei cittadini. “In ogni caso, infatti, si tratta di affidamento di un servizio per un importo superiore a 40.000,00 euro ed era pertanto necessario effettuare una comparazione tra le offerte, invece non avvenuta, nonostante il valore economico dell’affidamento fosse di 640.000,00 euro” prosegue la Corte.

Così, considerata la rilevanza della questione, i magistrati contabili hanno chiesto “di precisare se ATAC richiede pareri di congruità degli onorari ai Consigli dei diversi ordini professionali (commercialisti, avvocati, ingegneri, ecc.) per la corretta quantificazione dei compensi dovuti” – si legge ancora nel documento – . Nessun riscontro è tuttavia pervenuto in proposito e, in sede di adunanza pubblica, il rappresentante di ATAC nulla ha aggiunto al riguardo”. Anche perchè per la Corte sono evidenti “ricorrenti criticità nella gestione da parte di ATAC spa, della “spesa relativa a incarichi professionali di consulenza e assistenza, anche nelle forme dell’appalto di servizi, con frequenti violazioni della regola della unitarietà dell’incarico prevista dal disciplinare interno”. Così, “si è anche osservato il sistematico aumento dei costi del contratto nel corso dell’esecuzione dello stesso, in assenza del necessario fondamento giuridico” come si legge nel documento. Tanto più che i magistrati non hanno riscontrato la presenza di controlli interni da parte del socio pubblico attraverso il controllo analogo. Insomma, un caos nel caos.

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