Il 29 e 30 luglio prossimo si svolgerà a Roma il G20 della Cultura che vedrà riunirsi nella Capitale i venti ministri della Cultura dei relativi Paesi. Un evento che coinvolgerà molti luoghi cittadini, dal Colosseo a Palazzo Barberini, dal Quirinale alla Galleria Borghese. Un evento importante sia per l’Italia che per la nostra città. Roma, infatti, è una delle principali città d’arte non solo dell’Italia, ma del mondo intero, meta di un turismo globale che la pandemia di covid è riuscita solo a scalfire.
Dunque l’Urbe ospiterà, a ragione avendone pienamente i titoli, questo G20, ma, stranamente, pur essendo la nostra città uno dei centri culturali più importanti del Pianeta, il tema della cultura è stato finora quasi assente del tutto dalla campagna elettorale per l’elezione di sindaco e consiglio comunale, nonché dei presidenti e delle assemblee dei Municipi cittadini.
I vari Michetti, Gualtieri, Raggi e Calenda, i quattro principali “competitors” nella corsa per il Campidoglio, fino ad oggi hanno parlato di tutto, dai rifiuti, al traffico, dal verde ai servizi pubblici: hanno incontrato categorie, sindacati, associazioni e comuni cittadini, ma della cultura e di cosa fare per promuoverla e per valorizzare le vestigia storiche, i monumenti, le gallerie d’arte, e tante attività e musei poco conosciuti, non c’è quasi nessuna traccia.
Anzi, quando qualcuno ha parlato – e ci riferiamo alla sindaca – lo ha fatto alimentando la confusione su cosa si potrebbe fare. Lo ha evidenziato sul Corriere della Sera del 19 luglio scorso il giornalista Paolo Conti, che si occupa anche di beni culturali, nella sua rubrica di dialogo con i lettori romani.
Sotto il titolo “Cultura, no formule astruse”. Conti boccia senza appello la proposta avanzata alcuni giorni prima dalla Raggi agli Stati Generali della Cultura, di “lavorare all’unificazione delle soprintendenze perché la frammentazione tra quella di Stato, quella di Roma Capitale e poi il Parco del Colosseo la ritengo estremamente dispersiva”.
Per il giornalista, l’unificazione in questione puòprovocare solo danni. Come si fa – si chiede Conti – a “far finire in un unico calderone il meccanismo oliatissimo del Colosseo, che ha affrontato senza intoppi uno dei restauri più complessi degli ultimi decenni” e come si può pensare di “diluire ciò che funziona a Roma in una realtà, come quella comunale, in cui il cantiere al Gianicolo per il Garibaldi ‘ferito’ da un fulmine nel settembre 2018 è ancora avvolto in un cantiere abbandonato?”.
Come si vede, a Roma c’è confusione e silenzio su cosa fare in materia di beni culturali. E su chi sarà chiamato ad operare nel settore in qualità di assessore. Per adesso, solo il centrodestra ha detto una cosa chiara su chi dovrà rilanciare la politica culturale della Capitale. Infatti, sarà il noto critico d’arte e parlamentare Vittorio Sgarbi, in caso di vittoria alle elezioni di Enrico Michetti, ad occuparsi delle tematiche culturali, cercando di rinverdire l’epoca di Renato Nicolini, inventore delle “Notti bianche” romane.
Tempo fa, Giulio Tremonti, allora ministro, disse che “con la cultura non si mangia”. Una battuta infelice. E certamente non valida per Roma, dove milioni e milioni di turisti sono venuti, vengono e verranno per vivere un ambiente che trasuda storia e cultura in ogni angolo della città. E di questo afflusso beneficiano le strutture alberghiere, i musei, i commercianti, i ristoratori. Mettere quindi nel proprio programma elettorale ciò che si intende fare in campo culturale è quanto mai importante e chi lo farà con efficacia e credibilità godrà di una marcia per la vittoria elettorale.