Un minorenne accoltellato e un diciannovenne sparato a Tor Bella Monaca. Nel quartiere, tristemente noto per essere la piazza di spaccio più grande di Roma, gli atti di violenza tra spacciatori e clan non sono una novità, ma a rimanere coinvolti, stavolta, sono stati due ragazzini incensurati.
La scorsa settimana due minorenni di 14 e 16 anni sono stati aggrediti da un tossicodipendente all’interno del parco di fronte al civico 75 di via dell’Archeologia. Il 14enne ha rimediato una coltellata a un braccio. L’aggressione sarebbe opera di un giovane ancora non identificato che stava iniettandosi eroina seduto su una panchina. Due giorni dopo un 19enne è stato portato in ospedale a Tor Vergata per una ferita da arma da fuoco a un braccio. Il ragazzo ha raccontato di essere stato ferito da un proiettile sparato da un’auto in corsa sempre in via dell’Archeologia. Il giovane è incensurato e al momento sembra si sia trattato di uno scambio di persona.
Lo spaccio a Tor Bella Monaca, avviene in maniera palese, sotto gli occhi dei passanti ormai abituati. “La piazza dello spaccio è tenuta principalmente da stranieri, per lo più africani”, dice uno degli investigatori che da decenni contrasta la criminalità in quella zona, interpellato da “Agenzia Nova”, e che sceglie di restare anonimo. “E’ manodopera a basso costo che si reperisce facilmente da uno dei 25 centri di accoglienza presenti nel Municipio VI”. Ma Tor Bella è anche un grande mercato che dà “lavoro” a giovani e meno giovani di province e regioni vicine. “Arrivano dal viterbese – dice ancora la fonte -, dal reatino finanche da L’aquila per prendere droga che spesso pagano spacciando qui in zona e rimangono a dormire in macchina o nei garage fino al saldo della droga che devono portare via”. Tra le tredici principali piazze dello spaccio della Capitale, in quella di Tor Bella Monaca è possibile trovare ogni tipo di droga ad eccezione di quella chimica “Lsd, per esempio, non l’abbiamo mai sequestrata”, dice l’investigatore.
La cocaina viene smerciata soprattutto in largo Ferruccio Mengaroni, ma anche in largo Paolo Ferdinando Quaglia o in via San Biagio Platani; l’eroina è prerogativa della zona del Palazzo a ferro di Cavallo, ma lì siamo già nel grande “centro commerciale della droga” di viale dell’Archeologia ed è possibile trovare di tutto. Un luogo dove quasi tutti i portoni dei palazzo hanno “custodi”: due o tre giovani che presidiano il territorio, guardano chi entra e chi esce, ma soprattutto chi si avvicina, pronti a lanciare l’allarme in caso di arrivo delle “guardie”. C’è poi chi spaccia “alle fermate degli autobus. Ci sono giovani – spiega l’investigatore – che restano in attesa di un autobus per ore senza prenderne nessuno, ma ricevono le visite di macchine che si fermano e poi ripartono. I nigeriani e i gambiani solitamente nascondono le dosi in bocca, sotto la lingua; altri invece preferiscono trovare un nascondiglio per terra, magari sotto la carta di un pacchetto di patatine che indicano all’acquirente dopo aver preso i soldi”. Un punto di svolta “c’è stato – dice ancora la fonte – con l’ex prefetto Matteo Piantedosi. A lui si devono gli sgomberi delle case occupate dai clan, e l’applicazione della normativa che permette alla prefettura di revocare le licenze delle attività dei malavitosi. Spero – aggiunge – che da ministro dell’Interno non dimentichi queste periferie e le problematiche che ha conosciuto da prefetto”.
La maggior parte della cittadinanza subisce questa situazione con la quale deve convivere. “No, mi scusi, non abbiamo proprio tempo. Andiamo di fretta”, rispondono gentilmente due donne che portano i cani a passeggio in un’area verde. Alcuni commercianti sostengono di non conoscere la zona perché vivono fuori; altri non possono rispondere perché il titolare non accetta perdite di tempo con persone che non siano clienti. Altri invece accettano di parlare soltanto dietro la garanzia dell’anonimato, perché “È meglio così” dato che c’è da conservare quel sottile e precario equilibrio che garantisce loro la tranquillità. “Ti ci abitui”, dice un barista. “Io sono cresciuto qui. È la nostra realtà – spiega -. Sappiamo che qui c’è più criminalità che altrove e che le sparatorie sono frequenti ma a qualcuno fa comodo che le cose restino così”. Ci sono comunque ricette per vivere tranquilli. “Il segreto è vedere tutto, conoscere tutto e fare finta di niente se vuoi vivere tranquillo soprattutto se hai un’attività da portare avanti”.
“Il livello del disagio sociale è chiaramente molto alto”, aggiunge un altro commerciante di via Santa Rita da Cascia. “Ci sono covi”, prosegue, indicando un gruppo di persone che bivaccano davanti ad un bar. “Covi di gente senza terra – racconta -. Qui si menano, ci si ubriaca e si spaccia anche, anche davanti ai cancelli delle case. Qui c’è tanta brava gente ed è la maggior parte; poi ci sono altri, molti di meno, che creano problemi a tutti. Per noi non è raro assistere in diretta all’arresto di uno spacciatore perché qui c’è un concentrato di giovani che vivono di questo. Vediamo ragazzini di 14 o 15 anni che camminano con i marsupi pieni di soldi e questo la dice lunga. Sono qui da 40 anni – continua il commerciante – siamo abituati a questo degrado e a noi non ci danno noie perché siamo stati sempre qui. Ovvio che vorremmo un contesto diverso ma come lo cambi?”.
Ci sono però altre scelte come la denuncia “ma ci vuole coraggio e chi lo fa viene additato come infame da chi vive nell’illegalità e corre rischi. Chi non lo fa deve mantenere un equilibrio”, conclude l’uomo. E c’è chi, però, ha trovato il coraggio e con la macchina dei carabinieri davanti l’ingresso del portone di casa. Si tratta di Tiziana Ronzio, presidente della associazione Tor più bella. Il suo è uno dei volti del coraggio del quartiere. Era vicina di casa di personaggi che portavano il nome di Moccia e li ha dovuti affrontare direttamente sui pianerottoli delle scale. “Vivevo un senso di frustrazione come madre e non mi capacitavo di come si potesse vivere qui”. Il via vai dello spaccio nella palazzina era frenetico. “Mi sentivo inadeguata a difendere i miei figli. Fare finta di niente non aiutava. Dovevo fare qualcosa. Sapevo che con piccole gocce non avrei fatto un mare, ma oggi posso dire che una piccola pozzanghera l’abbiamo fatta”. Ronzio ha collaborato con i carabinieri raccontando ciò che accadeva e gettando le basi per arrivare alle operazioni con le quali i militari hanno liberato le case Ater occupate da alcune famiglie malavitose, che le usavano per spacciare. “L’ho fatto con tanta paura ma i carabinieri non mi hanno fatto sentire mai sola. Oggi – dice riferendosi alla palazzina in cui vive – questo posto è diventato un presidio di legalità. Qui a fianco, però – dice anche – ci sono altre palazzine in cui si spaccia. E c’è ancora molto da fare”.