I tamponi Covid funzionano con le nuove varianti Pirola e Eris? O il virus sfugge ai test, in particolare a quelli rapidi? “Per le nuove varianti del Covid 19, Eris compresa, il test antigenico resta valido”, spiega all’Adnkronos Salute Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della facoltà di Medicina e chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma, spiegando che “qualche dubbio potrebbe esserci per Pirola perché con oltre 33 mutazioni di differenza rispetto a tutte le altre, si discosta dal punto di vista immunogenetico e risulta diversa da tutto il ‘brodo’ delle varianti fino ad ora emerse”.
Per Ciccozzi un approfondimento scientifico sul tema è utile anche perché, sul piano clinico, “a livello di osservazione, non scientificamente provato, sono stati osservati casi di persone con sintomi tipici dell’infezione da Covid ma negativi al test antigenico”. Diverso il test molecolare “a cui sicuramente non sfugge nessuna variante”, sottolinea. In questo contesto, oltre alle necessarie valutazioni per capire se rispetto a Pirola il test antigenico può essere ancora valido, “il consiglio, in caso di sintomi, è stare casa al di là del tampone”. Ma resta anche importante, una volta usciti di casa dopo due o tre giorni, “l’uso della mascherina se si incontrano persone fragili e anziani”.
“Ad oggi, pur nei limiti che già conoscevamo, di sensibilità, ma soprattutto di precocità nel dare la positività, risulta che gli attuali test possono dare un risultato comunque, nonostante la presenza di nuove varianti. Al momento non c’è un’evidenza scientifica su un’eventuale riduzione” di efficacia degli strumenti diagnostici più diffusi, spiega all’Adnkronos Salute Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università Statale di Milano. Relativamente alla cosiddetta variante Pirola (BA.2.86), che più si differenzia per numero di mutazioni rispetto alle precedenti versioni di Sars-CoV-2, “può darsi” che ‘buchi’ i test, ma “ad oggi – ripete l’esperto – non c’è un’evidenza scientifica”.
“La prevista ondata Covid autunnale potrà certamente creare pressione sul Servizio sanitario nazionale, soprattutto se sarà accompagnata da assenteismo dovuto ad operatori sanitari scarsamente vaccinati. Niente di paragonabile, però, con lo tsunami causato dalle prime ondate pandemiche. Nessun allarme, quindi, ma sorveglianza attenta della situazione”, dice all’Adnkronos Salute l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, docente di Igiene all’Università del Salento. “Sicuramente, in ogni caso, bisogna essere vigili”, ribadisce Lopalco.
Per la microbiologa Maria Rita Gismondo, “i test rapidi ‘fai da te’ non hanno più senso di essere fatti”. “Basta ‘fai da te’, basta tamponi – dice all’Adnkronos Salute la direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano – Faremo i tamponi, se necessario, in caso di ricovero o di passaggio dal pronto soccorso, nei casi richiesti. Come anche qualche collega ha detto, dimentichiamo il Covid”, esorta l’esperta. “Questo che sta girando – precisa – è un virus completamente diverso e la patologia che dà, fortunatamente lieve, è un’altra patologia. Quindi dimentichiamoci tutto quello che facevamo prima con il Covid”.
MICROBIOLOGI, ‘TEST RAPIDI CAPTANO NUOVE VARIANTI MA NO A TAMPONIFICIO
“I test antigenici si basano sulla ricerca di pezzi di antigene ‘immutabile’. Possiamo dire che in particolare sono alcune parti dell’antigene che variano, e sono quelle delle nuove varianti che abbiamo imparato a conoscere, ma diciamo anche che, da Omicron in poi, tutte le successive sono sue sottovarianti. Per cui oggi il problema non è se il test antigenico riconosca la variante o meno. La domanda da porsi è un’altra: è utile fare il test antigenico o no? Le attuali indicazioni restringono il campo a poche persone” per le quali è importante farlo. “Il ‘tamponificio’ che ci ricordavamo nel 2020-2021 non ha più senso”, evidenzia all’Adnkronos Salute è Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione microbiologi clinici italiani (Amcli).
“La circolare ministeriale emanata a fine agosto – ricorda – definisce le categorie che devono essere sottoposte al test Covid. E comunque il test molecolare”, il classico tampone che si fa nei laboratori, “risulta” l’esame di riferimento. “E’ poi vero che se qualcuno vuole testarsi va in farmacia o al supermercato, compra il test rapido e può farlo. Ma il test rapido non ha la sensibilità del test molecolare, per cui molto spesso risulta negativo anche a fronte di una positività. Per le categorie veramente a rischio, dunque, l’ideale se vi è sospetto di positività sarebbe sottoporsi a un tampone molecolare”. Ma si parla di categorie ristrette. “Il tamponificio non ha più senso oggi grazie a due motivi: la circolazione del virus che in questi anni c’è stata e ha fatto sì che molta gente si infettasse e producesse un’immunità naturale, e le vaccinazioni. Chi resta fuori da questa situazione? Sono gli altamente fragili, quelli che magari non hanno potuto vaccinarsi”, dice Clerici.
Gli eventuali falsi negativi, è il messaggio dell’esperto, non sono comunque legati al fatto che i test antigenici rapidi non riconoscano le nuove varianti, ma piuttosto alla sensibilità del test o a eventuali errori di esecuzione. E qui “apriamo un capitolo che è delicato – osserva Clerici – Con il Covid noi abbiamo implementato anche l’autotest”, il tampone rapido ‘fai da te’. “La gente faceva da sola, però non dobbiamo mai dimenticare che il tampone per essere fatto bene dovrebbe essere necessariamente fatto sia a livello faringeo che a livello nasale. Farlo solo nasale riduce già la sensibilità. E in più, se il test non è un molecolare, la sensibilità si riduce ancora. Perciò, se si deve giocare sul test antigenico, cosa legittima, è meglio che comunque ci si faccia prelevare il campione da un esperto, che può essere un infermiere o un medico di questo campo. Non ad esempio il commesso della farmacia o lo zio che è in casa con noi. Perché fare bene il tampone non è semplice, ed è sempre un atto ‘invasivo'”.