Un mese fa il mondo si svegliava con il peggior attacco, il più terribile mai vissuto da Israele. Un assalto di Hamas, gruppo che controlla la Striscia di Gaza, che ha innescato la risposta israeliana, con operazioni nell’enclave palestinese. Il conflitto tra Israele e Hamas entra nel secondo mese. La strage del 7 ottobre in Israele ha fatto 1.400 morti (in un Paese con poco più di 9 milioni di abitanti), per lo più civili uccisi al rave nel deserto e nelle loro case nelle località a ridosso della barriera di confine con la Striscia di Gaza, secondo i dati israeliani riportati oggi dalla stampa di un Paese diviso tra il dolore, la rabbia, la protesta. Da un mese non si hanno notizie di 240 persone (non solo israeliani) che sono state rapite, portate dai miliziani nella Striscia di Gaza (quattro ostaggi sono stati rilasciati, una donna soldato è stata liberata in un blitz).
Nell’enclave palestinese, circa 2,2 milioni di abitanti prima del conflitto, sale di giorno in giorno il bilancio delle persone uccise. Aggiornato quotidianamente dal ministero della Salute di Gaza, sotto il controllo di Hamas, rilanciato dai media internazionali. Almeno per ora è praticamente impossibile verificare in modo indipendente i bollettini delle vittime nel conflitto tra Israele e Hamas. L’ultimo arrivato da Gaza parla di oltre 10.000 morti (tra i quali più di 4.000 erano minori) dal 7 ottobre.
Un bilancio, ha evidenziato la Bbc, che supera i dati Onu di circa 5.400 uccisi a Gaza in tutti i precedenti conflitti tra Israele e Hamas da quando nel 2007 il gruppo ha preso il controllo della Striscia. Gaza “sta diventando un cimitero di bambini”, ha detto nelle scorse ore il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che in queste settimane non manca di suscitare le ire israeliane. Morti dal 7 ottobre, stando al Committee to Protect Journalists, anche 37 giornalisti e operatori dei media (32 erano palestinesi, quattro israeliani e uno libanese). Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità più di 160 operatori sanitari sono morti in servizio a Gaza. Dati riportati dalle Nazioni Unite parlano di 14 ospedali su 35 che a Gaza hanno smesso di funzionare.
Molti esperti, ha rilevato il Washington Post in un suo recente articolo, considerano attendibili i dati sulle vittime del conflitto forniti dal ministero della Salute di Gaza, alla luce delle sue fonti e della precisione dimostrata in passato. “Nelle occasioni in cui abbiamo verificato i numeri di particolari attacchi, non mi risulta ci siano stati casi in cui ci sono state grandi discrepanze”, sintetizzava Omar Shakir, responsabile di Israele e Palestina per Human Rights Watch, citato dal giornale. E il responsabile dell’Organizzazione mondiale della sanità per le emergenze nella regione, Richard Brennan, la scorsa settimana ha detto di credere che i dati forniti dal ministero della Salute di Gaza siano attendibili. “Siamo fiduciosi che i sistemi di gestione delle informazioni che il ministero ha messo in atto negli anni resistano alle analisi”, ha affermato in dichiarazioni rilanciate dalla Bbc, aggiungendo che “i dati negli anni sono stati abbastanza solidi”.
Per le forze israeliane (Idf) “qualsiasi informazione arrivi da un’organizzazione terroristica va considerata con cautela”. Il 25 ottobre il presidente americano Joe Biden ha detto di essere “sicuro che innocenti siano stati uccisi” nei raid israeliani a Gaza, ma di “non avere fiducia nei numeri che i palestinesi stanno dando” per quanto riguarda le vittime. Sulle vittime civili, ha detto ieri il portavoce del Pentagono Pat Ryder, “sappiamo che i numeri sono nell’ordine delle migliaia”. Mentre il vice portavoce del Dipartimento di Stato, Vedant Patel, ha ribadito che i dati del ministero della Salute di Gaza non possono considerarsi certi in modo assoluto perché “si tratta di un ministero gestito da Hamas” che – ha affermato – ha “una storia di cifre gonfiate e non accurate sulle vittime”. C’è anche l’altro fronte. La Cisgiordania. Qui dal 7 ottobre, secondo dati del ministero della Salute palestinese riportati stamani dall’agenzia Wafa, sono 163 i morti, con accuse agli israeliani per la loro uccisione.
Passato un mese, secondo l’Unrwa (l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi), a Gaza è in atto una “tragedia umanitaria di dimensioni colossali”. Sfollato il 70% della popolazione di Gaza, riferisce l’Agenzia sul social X dopo aver denunciato l’uccisione di 88 persone del suo staff dal 7 ottobre. E’ “una lotta quotidiana per trovare pane e acqua” in “condizioni di vita disumane per quasi 1,5 milioni di persone” con i civili vittime di “sfollamenti forzati e di una punizione collettiva”. Da giorni, e anche oggi, i militari israeliani ‘invitano’ i palestinesi a lasciare le zone settentrionali della Striscia di Gaza per spostarsi nelle aree meridionali dell’enclave palestinese, che comunque non vengono risparmiate dai bombardamenti.
Per le Nazioni Unite a Gaza servirebbero 100 camion di aiuti umanitari al giorno. Secondo la Mezzaluna rossa palestinese, ogni giorno nella Striscia sono arrivati in media 33 camion di aiuti da quando è stato riaperto il valico di Rafah, al confine con l’Egitto. In totale, stando all’aggiornamento diffuso ieri sera, da qui sono passati 569 camion di aiuti dal 21 ottobre.
Anche in Israele centinaia di migliaia di persone sono state costrette a lasciare le proprie case nelle aree vicine alla barriera con la Striscia di Gaza e al confine con il Libano. Il 22 ottobre, dopo che il 15 era iniziato lo sgombero della città di Sderot (a ridosso della Striscia), il Times of Israel scriveva di circa 200.000 israeliani sfollati. Così il conflitto va ormai avanti da più di un mese, dopo quello che è stato descritto come l’11 settembre degli israeliani, invitati da Biden a non fare “errori” per la “rabbia”.