Europa: sul MES e Patto di Stabilità Meloni ‘’balla’’ da sola

Sui due spinosi dossier la premier non sembra avere una chiara strategia e rischia di portare l’Italia, malata di debito pubblico, in un vicolo cieco

Con l’avvicinarsi delle scadenze sul futuro immediato dell’Europa, Giorgia Meloni mostra un evidente nervosismo e la mancanza di una strategia chiara su due dossier spinosi per la sua maggioranza: la ratifica del MES. Meccanismo Europeo di Stabilità,  e l’intesa per la riforma del Patto di Stabilità. Le critiche all’ex premier Mario Draghi subito rientrate e l’offensiva contro Giuseppe Conte riflettono la tattica di individuare un avversario e un colpevole ma sul palcoscenico europeo è un’arma spuntata, forse addirittura controproducente.

Aver pubblicamente denigrato Draghi che solo due giorni prima era stato indicato ufficiosamente da Macron per la Commissione UE, ha obbligato Meloni a una goffa marcia indietro. La Francia fu il grande sponsor che fece arrivare Draghi alla BCE. Uno schema che potrebbe ripetersi, ma le principali forze politiche italiane hanno preso le distanze dalla candidatura di Supermario confermando l’alto tasso di provincialismo in politica estera.

Ma per il nuovo presidente della Commissione c’è ancora tempo, mentre sta terminando il tempo su MES e patto di stabilità. L’Italia è l’unico paese a non aver ratificato il MES (Meccanismo europeo di stabilità) e la scelta del governo di subordinarla alla riforma del patto di stabilità, secondo i desiderata di Roma, si è rivelata una scelta improvvida. Per rivedere il patto di stabilità l’Italia non ha presentato alcuna proposta, limitandosi a bocciare quella tedesca che rappresenta l’intelaiatura del progetto della Commissione UE.

Senza ratifica Mes incompleta l’Unione bancaria

L’allergia della destra italiana nei confronti del MES è a dir poco incomprensibile e in netta contraddizione con i proclami meloniani di voler un’Europa politica e non in mano ai burocrati. Ad esempio senza la ratifica del MES è praticamente impossibile completare l’Unione bancaria. In caso di crisi bancaria infatti sarebbe inevitabile il ricorso alle norme nazionali di gestione delle crisi bancarie, una condizione che renderebbe impraticabile qualsiasi proposta di far nascere una garanzia europea sui depositi bancari dei cittadini e minerebbe anche la funzione di vigilanza bancaria, che è stata accentrata nella Bce a seguito delle crisi del 2008-2011.

Il MES è stato istituito nel 2012 dai paesi dell’area euro e la sua principale funzione è concedere assistenza finanziaria agli Stati che hanno difficoltà a finanziarsi sui mercati. Il MES può erogare prestiti, acquistare sul mercato titoli di Stato del paese in difficoltà, aprire linee di credito in via precauzionale. I prestiti sono attivati direttamente dai paesi creditori senza interferenze da parte della Commissione UE e dell’Europarlamento.

Negli ultimi mesi il governo Meloni ha puntato l’indice contro la governance del MES, ma si tratta di un argomento pretestuoso. Il MES infatti è un organismo intergovernativo, guidato dal Consiglio dei governatori che è composto dai 19 ministri delle finanze dell’area euro. Poi c’è un vero e proprio consiglio di amministrazione al quale sono attribuiti poteri decisionali da parte del consiglio dei governatori. Il consiglio di amministrazione è composto da nove funzionari esperti nominati dagli stessi governatori.

Il consiglio delibera all’unanimità, ma in via straordinaria anche a maggioranza qualificata che deve essere almeno l’85% del capitale del MES. I principali Stati finanziatori sono Germania (27%), Francia (20,2%) e Italia (17,7%). È evidente che qualsiasi decisione deve avere il via libera dei primi tre azionisti del MES.

Vale la pena ricordare che la prima versione del MES è del 2011 e firmata dal governo Berlusconi ma l’anno successivo venne sostituita da una nuova proposta sottoscritta dal governo Monti e ratificata nell’estate dello stesso anno anche dal centrodestra italiano ad eccezione della Lega.

Il Mes usato come clava per la riforma del patto di stabilità

Nel 2018 la maggioranza dei governi europei decide di riformare il MES anche per introdurre la possibilità di finanziare il fondo di risoluzione delle crisi bancarie. Il governo Conte con M5S e Lega espresse critiche alla riforma, ma poi il Conte II la firmò il 27 gennaio 2021, il giorno dopo il presidente del Consiglio aveva presentato le dimissioni al Quirinale. Il governo Draghi evitò di affrontare la questione della ratifica nella consapevolezza che l’eterogena maggioranza si sarebbe spaccata.

Da oltre un anno la patata bollente del MES è nelle mani di Meloni che deve fare i conti con la netta opposizione della Lega e i mugugni nel suo partito. Immaginare di far modificare il meccanismo dirigenziale del MES nelle prossime settimane non è realistico. La premier così pensa di usare il MES come clava per la riforma del Patto di Stabilità minacciando di porre il veto. Forse dimentica che l’Italia è malata di debito pubblico, è il principale percettore dei fondi del Pnrr ed è inadempiente sul MES. Meloni insomma vuole fare il gatto che gioca con il topo. L’auspicio è che alla fine non siano gli italiani a finire in trappola.

 

© StudioColosseo s.r.l. - studiocolosseo@pec.it
Il Sito è iscritto nel Registro della Stampa del Tribunale di Roma n.10/2014 del 13/02/2014