Elle è l’ultimo film di Paul Verhoeven, il regista di Basic Instinct, Robocop, Showgirls. Olandese, ma trapiantato negli USA, Verhoeven ha vinto il Golden Globe per il miglior film straniero e il César, gli Oscar francesi, per il miglior film. Alla protagonista del film, l’immensa Isabelle Huppert, è andato il Golden Globe per la miglior interpretazione drammatica e il César alla migliore attrice.
Isabelle Huppert è la “Elle” del titolo, una donna fredda con un passato difficile, che non sembra essere scalfita neanche da uno stupro che subisce dentro le mura di casa. L’attrice, candidata all’Oscar per il ruolo, dà il volto a Michèle, una donna dura e fredda. La tematica del film, ispirato al romanzo Oh… di Philippe Djian, non ha certamente favorito il film alla corsa per le statuette.
“Posso fare solo delle ipotesi, ma penso che il terzo atto di Elle è una parte difficile non accettata dagli americani, la sua transizione da vittima a iniziare una relazione sadomaso con il suo stupratore è stato molto controverso ed è stata la ragione che non ci ha consentito di raccogliere finanziamenti negli USA e né di trovare una possibile interprete. L’esclusione dalla rosa dei nove film è stato un atto, probabilmente, politico”, ha spiegato il regista.Elle racconta della vendetta di Michèle, affronta una tematica delicata come quella della violenza, ma lo fa con ironia: “Era già presente nel libro, Dijan passa da momenti di durissima violenza ad altri ironici, agli incontri sociali in cui Michèle/Isabelle intrattiene con tutte le persone che la circondano. Esisteva nel romanzo e l’ho accentuato”,
Elle non è un thriller: “Non volevo che lo fosse, penso sia più un noir, volevo fosse però un film scevro, senza genere. Il romanzo diceva sì c’è una trama: un uomo mascherato entra in casa e la strupra, ma non sappiamo chi sia. Dopo lo scopriamo e dopo c’è uno strano sviluppo della loro relazione, ma ci sono le relazioni sociali di Michèle, e lei è descritta anche da questo. Ho sentito, leggendo il libro, che Elle non rispondesse a nessun genere cinematografico”.
“Negli USA, vogliono categorizzare tutto: thriller, noir, commedia romantica. Ma la vita non ha genere, questa volta non volevo realizzare un film che fosse incasellabile. Nella vita ti succede qualcosa di orribile e la sera stai ridendo per qualcosa di buffo che hai visto in TV. La vita non ha categorizzazione e ho pensato che questo film potesse essere questo. A Michèle sono successe cose brutte, ancora più orribili durante la sua infanzia, ma queste persone sono comunque molto strane, devi sorridere a loro, la tua vita è fatta di cose brutte e belle”.
Le donne sono spesso protagoniste dei film di Paul Verhoeven, ma il regista ha confermato che non è attratto da donne problematiche: “Non voglio generalizzare, la donna è così nel libro, ma non è tormentata. Se guardi al mio film precedente Black Book (al momento disponibile su Netflix, ndr) era la storia di una donna ebrea in Olanda che doveva sfuggire al Nazismo perché teme di finire ad Auschwitz. La situazione è difficile, ma lei è normale. No, non sono attratto da donne problematiche, anche Michèle non lo è, è solo una donna che ha vissuto dei momenti molto difficili. Il suo carattere è stato forgiato in quegli anni, sin dall’infanzia, visto che il padre ha ucciso 27 persone”.
Il personaggio di Isabelle Huppert: “Non è problematica, è una sopravvissuta, non vuole essere una vittima. Quando al ristorante, racconta che crede di essere stata stuprata, anche se sappiamo che lo è stata. Il modo di esprimersi è criptico e quando gli altri gli mostrano la compassione, lei non ne vuole sentir parlare e dice ordiniamo da mangiare. Non è tormentata o squilibrata, è solo fatta così”.
“Nella terza parte del film, in cui inizia la relazione con lo stupratore è basata semplicemente su ‘Ama il tuo nemico’. Non amare il tuo vicino di casa, una cosa che potrebbe essere facile, ma ama il tuo nemico che dovrebbe essere più difficile”, ha spiegato il regista.
Michèle, Anna, Rebecca, Josie, tutte le donne di Elle sono molto forti: “Sono così nel libro, la scena finale del libro coincide con quella del film. Abbiamo preso i personaggi dal libro, li abbiamo ampliati e un po’ modificati, ma non ho inventato nulla, non ci ho pensato, stavo solo seguendo i personaggi di Dijan”.
Elle è soprattutto Isabelle Huppert, la sua protagonista Michèle, un personaggio talmente difficile che il film ha dovuto essere prodotto in Europa: “Elle sarebbe dovuto essere un film americano, in Europa c’è più libertà, avete visto cosa è successo nel USA? Una cosa del genere non è successa in UE, almeno non adesso. Isabelle Huppert era già presente nel progetto prima che Saïd Ben Saïd mi contattasse, aveva già scritto allo scrittore per poter fare questa parte. Quando Saïd mi ha mandato il libro, a Los Angeles, il fatto che aveva già prodotto film in lingua inglese ci ha fatto pensare che avremmo girato Elle negli USA. Quindi ho contattato David Birke, uno sceneggiatore americano, per scrivere lo script, quando l’abbiamo inviato ad agenti, nessuna attrice voleva partecipare a questo film, voleva un ruolo così controverso. Dopo tre mesi, Saïd mi ha detto che non avremmo mai realizzato il film negli States e che sarebbe stato meglio ritornare a Parigi”.
Una volta tornati in Europa, Verhoeven ha ricontattato Isabelle Huppert: “Siamo tornati da lei umilmente, per chiederle se era disponibile ad accettare il ruolo. Non abbiamo mai parlato del ruolo, dei rivolti psicologici, freudiani, ha fatto tutto ciò che c’era scritto nella sceneggiatura. Script che era stato leggermente modificato perché ritradotto in francese. Adattato il testo, Isabelle non ha avuto da ridire su nulla, anche perché è molto audace quando crede nel ruolo che interpreta, farebbe tutto per il ruolo. Se ritiene, fa quello che il personaggio le richiede, non è alla ricerca della compassione del pubblico, nemmeno io”.
Il libro di Dijan è ambientato nel mondo della TV, mentre in Elle Michèle lavora nel mondo dei videogiochi, un cambio dovuto alla figlia del regista: “È stato banale, nel libro lei lavora nel mondo della TV, è leader di un gruppo degli sceneggiatori. Il passaggio ai videogiochi è stato casuale, non penso che esista la correlazione fra videogame e violenza. Non l’ho cambiato per questo, lei è un leader di un gruppo di scrittori per la TV, lavorando alla sceneggiatura abbiamo deciso che era poco visuale, astratto e noioso parlare di scrittura in TV. Parlandone con la mia famiglia, mia figlia mi ha suggerito di ambientare il film nel mondo dei videogiochi. L’ho proposto poi a David Burke e ne è stato entusiasta, lui è un vero fanatico del genere”.
Creare un videogame per il film era però molto costoso: “La narrazione è andata poi in parallelo a quella del film, a Parigi abbiamo trovato una società di videogiochi e abbiamo utilizzato tre realizzati da loro. Siamo arrivati a questo per tradurre qualcosa di molto visuale, non c’è nulla di filosofico, freudiano in questa scelta”.
Moltissimi i remake dei film di Paul Verhoeven, l’ultimo in ordine di tempo Robocop, ma il regista olandese non si aspetta un prossimo remake americano di Elle.
Da Catherine Tremell a Michèle Blanc, com’è evoluta la donna nei film del regista? “Si può definire Michèle come amorale, la moralità manca nei miei film e non m’importa. La realtà è che gli uomini e le donne hanno relazioni extra-matrimonio, c’è l’idea che la donna è sempre la stessa, ma dubito sia possibile. In Elle, poi, ho seguito il personaggio del film, ma non mi sono posto dei problemi su di lei. I miei ultimi film sono sulle donne, crescendo sono sempre più interessato alle donne, sono sempre più importanti per me. Ho anche capito quanto sia stata importante mia moglie nella mia carriera e di quante difficoltà e pericoli abbiamo superato. Penso che le ammiro”.
Le donne saranno protagoniste anche del suo prossimo film: “Due suore in Toscana, a Peschia, vicino a Firenze. Il titolo provvisorio è Blessed Version, basato sul libro Immodest Acts, scritto da un professore americano ed è ambientato nel Medio Evo. Si basa su quello che è successo nel monastero di questa città, mentre il libro è sulla ricerca dell’autore negli archivi fiorentini”. Il libro parla della vita della mistica lesbica Benedetta Carlini.
Un altro titolo è Jesus of Nazareth, basato sul suo omonimo libro: “È basato sul libro su Gesù, uno studio pseudoaccademico basato sul vangelo secondo Marco. Questo è uno dei due progetti di biopic del regista.
Verhoeven ha anche parlato del terzo film in cantiere: “Non è su Hitler, è basato sul libro Erfolg, scritto da un amico di Bertold Brecht. Ed è la storia di una donna, Johanna Krain, all’epoca del fallito colpo di stato a Hitler nel 1923. È un libro del 1928, Hitler è solo uno dei personaggi”.
Il regista sarà ricordato sempre per la mitica scena dell’accavallamento di Basic Instinct, Verhoeven ha raccontato com’è nata: “Abbiamo girato la scena in dieci minuti solo con Sharon Stone e il direttore alla fotografia e me n’ero dimenticato. Al montaggio l’ho rivista, e ho chiesto al montatore, un cattolico, una persona normale, perché l’avesse messa e lui mi ha detto: l’hai girata, l’ho messa. Quando abbiamo visto la scena con il pubblico, abbiamo capito che avevamo rotto un tabù”.
È basato su una donna che il regista conobbe da giovane: “Quando organizzavamo le feste, c’era questa ragazza che non portava la mutande. I miei amici le chiedevano, se accavalli le gambe vediamo tutto e lei disse: Per questo lo faccio! Ho deciso di inserire quella scena, senza pensare che fosse così speciale!”.
Che film vedremo negli USA di Trump, per il regista: “Vedremo film su Iraq, l’Iran, film sulla guerra. Saranno criticati, ma dall’altro lato faremmo film su altre guerre. Spero che Hollywood resti molto critica nei confronti di Trump, ma si pensa sempre ai ricavi e ai guadagni dei film. Anche a questo si deve l’effetto La La Land, un film ottimista, basato su titoli di successo in cui si celebrano i vecchi tempi. Un titolo che rappresenta un senso di fuga”.
Paul Verhoeven però non andrà a trovare il Papa: “Non sono contro di lui, anzi è il migliore degli ultimi duecento anni”.