Bohemian Rhapsody è uno dei film più attesi dell’anno, la storia di Freddie Mercury e dei Queen sarà in sala il prossimo 29 novembre, cinque giorni dopo il 27esimo anniversario della scomparsa del frontman di una delle band che ha cambiato la storia della musica. A presentare il film a Roma, Rami Malek e Gwilym Lee, rispettivamente Freddie Mercury e Brian May.
Due icone del mondo della musica, quanto è stato difficile interpretarli? Un compito arduo soprattutto per l’attore americano Rami Malek:
“Vi chiedo di chiudere gli occhi un secondo e rispondere a questa domanda. È stato ovviamente molto difficile, non è stato un peso, ma ha quasi una natura mitologica questo lo ha reso così importante per molte persone, non solo come un’icona della musica, per molti è una sorta di Dio. Potete capire il mio stress, per questo ho deciso che l’unico modo per dargli giustizia e onorarlo era immergermi in tutto per essere Freddie Mercury, questo ha significato un anno e mezzo di lezioni di canto, piano, coreografie e ho imparato a esprimermi nel suo dialetto e le sue movenze. Ancora il film non era neanche finanziato, quindi ho messo i soldi di tasca mia quando ho scoperto che l’avrei interpretato, sono volato a Londra e ho dato tutto me stesso per far vivere quest’uomo”.
Impressionante l’interpretazione del collega inglese Gwilym Lee che a tratti si “fonde” a Brian May:
“Come per Rami intimidisce interpretare qualcuno così amato, ma motiva anche. Ogni volta che mi sentivo travolto, mi sono concentrato su qualcosa che potevo ottenere, per me era importante lo studio della chitarra. Un compito difficile non c’è stato chiesto di far finta di suonare perfettamente, ma dare l’impressione di suonare come se lo facessimo da una vita. Personalmente quando interpreto un personaggio, penso alla sua interiorità e le emozioni, ma in questo caso è un personaggio che conosco, quindi parti dall’esterno ed è stato fantastico incontrarlo di persona, è stato molto generoso con me”.
Il chitarrista dei Queen e astrofisico ha preso parte alla realizzazione del film insieme al batterista Roger Taylor:
“È venuto a trovarmi il primo giorno sul set, ero truccato e vestito come lui e Brian non mi aveva ancora visto. Mi è venuto a trovare, quando mi ha visto, abbiamo avuto un momento di silenzio e ha visto una versione più giovane di se stesso, dopo due minuti si è messo ad aggiustare la mia parrucca, questo dice molto dell’uomo. Nonostante la sua attenzione al minimo dettaglio, la cosa più importante è che non mi sono mai sentito giudicato da lui”.
Rami Malek si è immerso in uno studio matto e disperatissimo per interpretare Mercury:
“Tutto il processo è stato una scoperta per me. Ricordiamo l’aspetto macho, audace e impertinente di Freddie Mercury, ma in pochi conoscono la sua parte intima. Non sapevo della sua relazione con Mary Austin e che fossero fidanzati. Non sapevo che il suo vero nome fosse Farrokh Bulsara. Ho pensato a tutto questo quando l’ho interpretato e poi ho trovato l’aspetto in cui mi sono identificato: un ragazzo nato a Zanzibar, è andato a scuola in India ed è poi tornato in Zanzibar per fuggire con la sua famiglia in Inghilterra. Sono americano di prima generazione e la mia famiglia viene dall’Egitto, mi sono sentito più vicino a lui e questo mi ha portato a mettere da parte l’icona rock e pensare all’uomo: un essere umano che cerca la sua identità, non solo in quanto straniero, ma anche quella sessuale. Ho iniziato a vedere degli elementi che abbiamo in comune e l’ha reso più umano”.
Gwilym Lee parla della presenza sul set di Brian May e Roger Taylor, fondamentali per la realizzazione della scena del concerto dei Queen al Live Aid del 1985:
“La prima cosa con cui abbiamo iniziato è stata la sequenza del Live Aid, Roger e Brian sono venuti sul set a vederci e Brian mi ha detto: ‘Sì è molto accurato, ma non dimenticarti che sono una rock star e l’ego che ne deriva’. Al di là di gesti, coreografie, mi ha detto di metterci la mia anima. Siamo attori, non una band tributo, raccontiamo il lato umano della storia. Roger e Brian ci hanno aiutato nelle scene musicali, ma in quelle private, in cui recitavamo, ci hanno dato molta libertà”.
Rami Malek ha anche raccontato sul primo incontro fra Brian May e Roger Taylor e il “suo” Freddie Mercury:
“Ho fatto un test agli Abbey Studios a Londra, avevo registrato canzoni e dei movimenti. Alla fine della sessione, lo sceneggiatore mi ha fatto delle domande e dovevo rispondere come se fossi Freddie. Mi hanno chiesto com’era stato crescere in Zanzibar e la persona della quale mi fidassi di più. Brian e Roger hanno visto la clip, mi guardavano e io provavo a non tremare. Brian inizia a dirmi: Sì, ok, così può andare bene’, al momento della seconda domanda, sono sbiancato e poi hanno sentito la risposta ed erano soddisfatti”.
Per l’attore americano ogni singolo momento sul set è stato difficilissimo:
“Ogni giorno era difficile perché continuavo a pensare a lui a cosa avrebbe pensato e come avrebbe approcciato la cosa. Live Aid è stato più difficile perché abbiamo voluto ricreare il concerto proprio com’era e non mi sarei mai fermato finché non sarebbe stato perfetto. La cosa migliore di questo è che abbiamo lavorato insieme alla parte artistica del film. Ci siamo sentiti proprio come una vera band, eravamo dipendenti l’uno all’altro e molto uniti quando eravamo sul palco, il primo giorno abbiamo suonato sul palco del Live Aid Bohemian Rhaspody, il 2° Radio Gaga, Hammer To Fall, Crazy Little Thing, We Will Rock You, We Are The Champions, ogni giorno una nuova canzone”.
Finché Rami Malek ha chiesto di girarla in un’unica sequenza:
“Abbiamo inserito tre gru e telecamere ovunque e abbiamo usato dei veri fan dei Queen come pubblico, a ogni canzone si sentiva l’adrenalina anche perché sentivamo la risposta del pubblico. Ho capito cosa provavano i Queen e Freddie, ne vuoi sempre di più, finché non arrivi al backstage e sei sfinito. Alla fine ci siamo stretti le mano e ci siamo guardati negli occhi, un momento che ci ha galvanizzato e ha definito come sarebbe stato il film”.
“Dopo quel momento – aggiunge Lee – abbiamo acquisito un linguaggio che abbiamo usato. Abbiamo lavorato così tanto e ci ha unito, ogni performance non pensavamo più alla coreografia, improvvisavamo e riuscivamo a muoverci in modo naturale”.
Rami Malek è reduce dal successo di Mr Robot e interpretare Freddie Mercury potrebbe cambiargli la vita:
“Da giovane, accettavo dei ruoli per pagare bollette, ma ho sempre avuto sensibilità personale e ho scelto parti di cui mi sentivo orgoglioso. Ho cercato ruoli che potessero cambiare la percezione che gli altri hanno di se stessi e del mondo e che divertissero. Non scelgo ruoli perché non voglio sparire o perché devo farlo, mi attraggono le sfide e mi piace collaborare con le persone che mi danno questa possibilità. Come artista voglio poter dire qualcosa e collaborare con le persone che mi sfidano, Mr Robot mi ha reso così ed è stato globalmente riconosciuto. Questo di Freddie, non solo è il ruolo di un uomo ma di una band che ha cambiato la vita di molti e continuerà a farlo e spero che la sua storia sua e quella del gruppo continui a cambiare vite. Una storia non solo rivoluzionaria, ma la sua ricerca di identità e senso di appartenenza riusciva a dare un senso di empowerment a lui e al pubblico: l’ho trovato eccezionale”.
Nel film Freddie Mercury è rappresentato spesso come un artista vittima della sua solitudine, una situazione “umana che colpisce tutti” per Rami Malek.
Bohemian Rhapsody ha avuto un processo lungo di lavorazione: dieci anni per scriverlo e il regista, Bryan Singer, licenziato e sostituito da Dexter Fletcher a qualche giorno dalla conclusione delle riprese. Un cambio che non ha sconvolto la lavorazione del film:
“È tutto successo quando stavamo già finendo di girare, avevamo già creato i nostri personaggi, sapevamo a che punto era la storia, dove dovevamo andare e avevamo una troupe molto unita. Non è cambiato molto, è qualcosa che succede molto spesso quando si fa il nostro mestiere”.















Bohemian Rhapsody vi aspetta al cinema il 29 novembre distribuito da 20th Century Fox.