Alla Festa del Cinema di Roma è il giorno di Thomas Vinterberg e del premio Oscar Barry Jenkins, il regista danese ha presentato Kursk mentre l’americano ha parlato di Se la strada potesse parlare.
A due anni da La Comune, il regista danese Vinterberg, premiato a Cannes per Il Sospetto e Festen, presenta Kursk, un film ispirato alla tragedia del sottomarino russo avvenuta nel 2000. Due esplosioni a bordo del sottomarino russo affondano l’imbarcazione che era l’orgoglio della marina sovietica nelle acque artiche del Mare di Barents, dei 118 marinai solo 23 sopravvissero. Vinterberg racconta i tentativi falliti di salvataggio da parte della marina russa e il rifiuto degli aiuti internazionali, mentre i 23 sopravvissuti attendono.
“Mi ha proposto il film Matthias Schonaerts, decidere di fare un film non è una decisione razionale, come innamorarsi. La sceneggiatura mi ha commosso subito, ho deciso di fare questo film perché molte delle tematiche dei miei film erano presenti in questa storia: famiglia, ingiustizia, indignazione politica e la battaglia contro la burocrazia, l’amore e la morte”.
Kursk è ispirato al libro inglese A Time To Die: The Untold Story of Kursk Tragedy, ma la sceneggiatura curata da Robert Rodat è stata modificata:
“Volevamo onorare e rispettare le famiglie, non abbiamo approfondito le loro vite, abbiamo creato i nostri personaggi sullo schermo, creando nomi di finzione abbiamo fabbricato le nostre storie. Cambiando questo abbiamo dimostrato il rispetto per loro, Rodet è stato autore della sceneggiatura di Salvate il Soldato Ryan e l’avevo cambiato”.
Vinterberg ha preferito non contattare le famiglie delle vittime per tenere la storia “di finzione”. Al centro del film anche le ragioni di stato:
“La scelta era se salvare i 23 uomini o perdere l’orgoglio nazionale e segreti militari. Una decisione cruciale per il mondo occidentale, ma i russi la pensano in un altro modo. Hanno sacrificato 23 uomini e 200mila a Stalingrado, a Ovest facciamo le cose allo stesso modo, ma gestiamo meglio i media”.





Alla Festa del Cinema di Roma anche il premio Oscar Barry Jenkins, il regista di Moonlight ha presentato a Roma Se la strada potesse parlare, ispirato a un omonimo romanzo di James Baldwin.
“Sono un fan del suo modo di scrivere dai tempi del college, ho iniziato a leggerlo perché la mia fidanzata mi aveva lasciato e mi disse che dovevo leggerlo. Mi piace il suo stile, la sensualità della sua voce, questo libro combina la sua voce: è sensuale, passionale, critica”.
Dopo l’Oscar per Moonlight la sua carriera è cambiata e ha iniziato a dire di no:
“Prima di vincerlo la tua carriera è tutta impostata sul farsi dire di sì, poi, invece, sei tu a dire di no. Questo film è un adattamento, l’idea che l’amore possa proteggerti, penso che Baldwin volesse sottolineare che le persone di colore hanno avuto molta difficoltà nella storia americana e nonostante tutto celebriamo ancora la vita e la bellezza e troviamo lì la forza di sopravvivere. Le difficoltà che vivono i protagonisti non devono eliminare la gioia, il personaggio di Trish vive dei momenti bui, ma non l’ho ripresa con lo stile neorealista, ho preferito un esperessionismo romantico. In USA, le persone di colore anche se hanno vissuto dei periodi di merda continuiamo ad amare e ad avere cura di tutto”.
La sua vittoria agli Oscar per Moonlight è entrata nella storia per lo “scandalo” delle buste, Jenkins ha rivissuto con noi la terribile e pazzesca notte:
“È stato assurdo, ci sono così tante cerimonie di premiazioni minuscole e nulla va storto. Quindi quando hanno detto l’altro titolo, non ho pensato a nulla, non era straordinario. Una volta si vince, una volta si perde, la cosa più assurda è che sia effettivamente successo perché non te l’aspetti. Quindi quando ci ripenso, non ricordo neanche quel momento preciso perché sono entrato in uno stato di choc per un’ora e quando sono ritornato… ho scoperto di aver vinto un Oscar”.