Le manifestazioni per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, sabato scorso 25 novembre, a Roma, Milano e in tante altre città, hanno avuto una straordinaria partecipazione soprattutto di ragazze e ragazzi come mai si è vista. Nonché una grande eco sui media e nei programmi televisivi, che oltre a documentare la cosiddetta “onda fucsia”, ossia gli affollati cortei dove prevaleva quel colore, hanno ospitato le storie di violenza di molte vip, alcune persino recitate dalle vittime, quasi a fare della violenza un atto di teatro di pessimo gusto.
Per non parlare del fiume di dichiarazioni e di commenti tanto da ispirare l’ ennesima provocazione di Marco Travaglio, secondo il quale farebbe bene, ora, anche un po’di silenzio. Ma è proprio col “silenzio”, insieme alla paura, che è cresciuta e si è diffusa la violenza degli uomini verso le donne, che l’hanno subita tra le mura domestiche, fino ad essere, troppo spesso, vittime di azioni delittuose.
Con il corteo del 25 novembre tante donne e tante ragazze hanno voluto invece venire allo scoperto, fare rumore, insieme ai ragazzi che le appoggiano nella denuncia. E’ già avvenuto in passato, tante volte, da quando nel 1999 è stata istituita dall’Onu la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, in ricordo delle tre sorelle Mirabal deportate, violentate e uccise il 25 novembre del 1960 nella repubblica Domenicana.
Ora, dopo l’escalation di “femminicidi” e il recente assassinio di Giulia da parte dell’ex fidanzato, che ha colpito l’opinione pubblica per la giovane età della coppia, la brutalità dell’omicida e la futilità delle motivazioni, bisogna trovare il modo di non sciogliere il corteo, ossia di continuare a mantenere alta l’attenzione su questa grave piaga sociale. Da un lato per dare il coraggio di denunciare e la forza di farsi ascoltare a chi vede nell’altro atteggiamenti prevaricatori e, tanto più, azioni violente. Dall’altro per seminare una cultura del rispetto della differenza di genere.
Ma non basta certo introdurre nelle scuole un’ora di educazione affettiva, sessuale e sentimentale. Il rispetto per l’altro, e in particolare per le donne, rileva anche lo psicanalista Massimo Recalcati, non è materia specialistica come la letteratura o la chimica. La cultura del rispetto e della differenza avviene innanzitutto nelle famiglie e nella scuola. “Sono la famiglia e la scuola – sottolinea Recalcati – i principali educatori con il compito di alimentare nei nostri figli la cultura del rispetto e della differenza”. Da parte della famiglia deve venire la testimonianza che possono esistere relazioni ispirate dalla cura e dall’accoglienza, mentre la scuola deve irrorare la cultura che è il migliore antidoto nei confronti della violenza.
La cultura non lascia spazio a violenze, narcisismi, maschilismi, patriarcati e comunque si vogliano chiamare le relazioni alterate fra i due sessi. E non deve avvenire come per il movimento “me too” di denuncia per molestie e abusi sessuali, che sembra sia servito soprattutto ad alcune donne di spettacolo (ma non solo) per mettersi in mostra e chiedere risarcimenti milionari.
Donne e uomini, ragazze e ragazzi, che hanno marciato senza alcuna bandiera il 25 novembre per un futuro di parità e di rispetto, devono continuare a sentirsi uniti per riconoscere e saper fronteggiare i cosiddetti vuoti identitari (spesso all’origine della violenza) di chi vive per rispecchiarsi nell’altro.
Infine è auspicabile che anche tutti i partiti si dimostrino capaci di ascoltare e comprendere il cambiamento nei rapporti di coppia, per essere in grado di dare corpo e struttura alle parole e alle sensibilità della eccezionale mobilitazione di questo 25 novembre, riconosciuta dagli osservatori più attenti come un importante atto politico.