Noto con i soprannomi U siccu e Diabolik, il boss di Cosa nostra è stato per trent’anni il “numero uno” tra i latitanti italiani e uno tra i maggiori e più pericolosi ricercati al mondo. Matteo, nato a Castelvetrano, in provincia di Trapani, nel 1962, è figlio del patriarca mafioso Francesco Messina Denaro, don Ciccio, capo mandamento della zona, dal quale ha imparato anche “l’arte” della latitanza: il padre è stato infatti trovato solo nel 1998 nelle campagne nei dintorni del Paese, stroncato da un infarto. Dopo la sua morte, Matteo è diventato capo della cosca di Castelvetrano e del relativo mandamento, alleato dei corleonesi già dalla guerra di mafia dei primi anni ’80.
Fedelissimo di Totò Riina, dopo l’arresto di quest’ultimo si è messo agli ordini di Provenzano. È considerato responsabile di numerose esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro, nel 1993, del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito per costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci e poi strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia. Nel 1994 Messina Denaro organizzò, insieme a Giovanni Brusca, un attentato dinamitardo contro il pentito Totuccio Contorno, che tuttavia venne sventato.
L’esplosivo, collocato ai lati di una strada nei pressi di Formello, dove Contorno passava abitualmente, venne infatti scoperto dai Carabinieri, avvertiti dalla telefonata di un cittadino insospettito da strani movimenti. La latitanza di Messina Denaro è iniziata nel 1993, dopo essere stato visto per l’ultima volta in vacanza insieme ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano a Forte dei Marmi. Contro di lui è stato emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, strage, omicidio, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori. Da allora, Carabinieri e Polizia sono arrivati più volte vicini a catturarlo, senza tuttavia mai riuscirvi.