Giustizia: calano pendenze in Corte appello Roma, al via anno tra proteste su riforma

I magistrati, in polemica con la riforma proposta dal ministro Carlo Nordio, hanno abbandonato l'aula e hanno esposto cartelli con le frasi di Pietro Calamandrei

Cala il numero dei processi pendenti in Corte d’appello di Roma, anche a fronte di una riduzione dei tempi medi di durata dei procedimenti. Sono i dati principali emersi stamattina dalla relazione del presidente della Corte d’appello di Roma, Giuseppe Meliadò, proferita in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. E anche nella Capitale, come in altre città d’Italia, le toghe hanno protestato al momento dell’intervento del governo, a Roma affidato al sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Alfredo Mantovano. I magistrati, in polemica con la riforma della giustizia proposta dal ministro Carlo Nordio, hanno abbandonato l’aula e hanno esposto cartelli con le frasi di Pietro Calamandrei. Sul punto il sottosegretario Mantovano ha chiesto un’apertura al dialogo, spiegando che “la riforma osteggiata ha costituito parte non marginale del programma col quale la coalizione che oggi sostiene l’esecutivo ha ottenuto il consenso degli elettori nel settembre 2022” e che “la medesima Costituzione che oggi viene contrapposta alla riforma in discussione stabilisce il diritto dei cittadini ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Non dice che se assumo un impegno con gli elettori e ne ricevo il consenso poi devo disattendere l’impegno assunto”.

Intanto nel 2024 a Roma in Corte d’appello si è registrato “un arretrato di 41.778 processi che, imporrebbe interventi straordinari, tali da far superare il divario incolmabile con altre corti, nessuna delle quali, se si eccettua Napoli, supera le 10.000 pendenze”, ha detto Meliadò. Tuttavia, nonostante l’alto numero, “per la prima volta l’arretrato scende nettamente, nel settore penale, sotto la quota di 50 mila fascicoli e precisamente si arresta a 41.778 processi con una ulteriore riduzione a fine anno a 39.682 processi, con una inversione di tendenza di sicuro rilievo” anche in considerazione del fatto che “i processi prescritti” nel 2024 ammontano al “32 per cento dei processi definiti, laddove sino a pochi anni fa superavano il 50 per cento”. Questo anche a fronte di una riduzione dei tempi medi di durata del 9 per cento, dove si passa dai 1.212 ai 1.127 giorni. Diminuiscono del 7,6 per cento anche le pendenze degli affari civili e del 18 per cento quelle del lavoro. Nonostante questo, però, i tempi restano lunghi e “Roma, che è un tempo la Capitale del Paese e il suo più grande aggregato metropolitano” per effetto della “possibilità di fare affidamento sui tempi lunghi del processo penale” secondo Meliadò “sta progressivamente diventando il coacervo di tutte le mafie e di tutte le forme di criminalità” e “la percezione di tale emergenza stenta ad andare di pari passo con la velocità con cui si radicano e si diffondono le organizzazioni e le pratiche criminali”.

In questo contesto il presidente Meliadò ha rilevato che a Roma spicca il dato “della criminalità organizzata ìcon la massiccia presenza di associazioni a delinquere anche di stampo mafioso sia nella città di Roma che nei territori di Velletri, Latina, Cassino e Frosinone, che rende gli uffici romani comparabili a quelli delle capitali storiche della associazioni criminali del Paese” ma anche quello relativo ai procedimenti per “violenza familiare e nei confronti delle donne, che rappresentano quasi il 32 per cento dei procedimenti di rito collegiale pervenuti a giudizio presso il Tribunale di Roma e che hanno determinato l’afflusso presso la Corte di oltre mille processi”

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