“E’ impegnato per la segreteria del Pd, non pensa più alla Regione” dicono, ma raccolgono solo 13 firme
Il centrodestra ci riprova: a più di sei mesi dal primo tentativo di FdI, decaduto perché sottoscritto solo dai tre meloniani, il quintetto di partiti che si oppone da destra al governatore del Lazio Nicola Zingaretti mette sul tavolo ancora una volta la carta della mozione di sfiducia.
“E’ impegnato per la segreteria del Pd – hanno spiegato ieri i cinque capigruppo in conferenza stampa alla Camera – ha tradito i suoi elettori, non pensa più alla Regione”.
Stavolta le firme sono 13: oltre a FdI c’è il gruppo dell’ex candidato Stefano Parisi, FI, la Lega e i centristi di NcI. Pochi per sfiduciare il governatore, uscito dalle urne vincitore senza una maggioranza ma che la scorsa estate si è assicurato i numeri in Consiglio grazie a un ‘Patto d’Aula’ con due consiglieri – Giuseppe Cangemi ed Enrico Cavallari – eletti con FI e con la Lega e poi transitati al Misto.
Il centrosinistra, da solo, fa 25 seggi su 51: quota lontanissima dai 13 della mozione che dovrebbe essere discussa nelle prossime due settimane. Ecco dunque che la mossa sembra tendere soprattutto a stanare i colleghi d’Aula, in primis i due fuoriusciti del Misto che come esponenti politici restano, nonostante tutto, nell’area del centrodestra (Cangemi è ancora iscritto a FI) ma soprattutto i dieci del M5s.
Quel MoVimento, nella visione di Parisi, che sarebbe pronto, con Zingaretti alla regia, a formare con il Pd un governo nazionale ‘giallo-rosso’ ai danni della Lega: “Chi non vota la sfiducia – ha detto il leader di Epi – fa parte della maggioranza”.
A stretto giro replica sarcastica la capogruppo M5s Roberta Lombardi: “La voteremo, anche se sappiamo che quasi sicuramente non passerà, perché sono proprio due ex del centrodestra a garantire la maggioranza”.
Mai citato in conferenza stampa l’altro ‘indipendente’ della Pisana: Sergio Pirozzi. L’ex sindaco di Amatrice, che domani vedrà arrivare in Aula la ‘sua’ legge sul rischio sismico a cui lavora da mesi, spiega in serata di avere dato, tempo fa, la sua disponibilità ma di non essere più stato ricontattato: “Se vogliamo fare una cosa seria – la sua provocazione – firmiamo le dimissioni in 26 dal notaio e Zingaretti se ne va a casa…”. Infine a chiudere all’ipotesi del fuoco amico contro Zingaretti ci pensa il candidato orfinian-renziano alla segreteria del Pd Lazio Claudio Mancini: “Il Pd – afferma – sarà unito senza farsi distrarre o fuorviare dagli impegni congressuali locali e nazionali”. (fonte Ansa)