La Corte d’Appello di Roma ha compiuto una “ponderata disamina degli elementi valutativi” che “non lasciavano spazio a dubbi” sulla “capacità di intendere e di volere” di Manuel Foffo, nel momenti in cui “d’intesa con Marco Prato, decideva di uccidere Luca Varani”. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni con cui ha confermato la condanna a 30 anni a Foffo, per l’omicidio di Luca Varani, massacrato a Roma nel marzo 2016, dopo essere stato drogato. La prima sezione penale sottolinea che la perizia tecnica compiuta “non consentiva di affermare la sussistenza in capo a Foffo di una condizione psichica patologica inquadrabile come disturbo della personalità”, tale da ritenere che non fosse imputabile. Inoltre, “privo di rilevanza clinica doveva ritenersi l’abuso di sostanza stupefacenti dedotto dalla difesa”. Foffo e Marco Prato, morto suicida in carcere, diedero “sfogo alle pulsioni sadiche che si erano già manifestate la notte che precedeva l’assassinio, con l’uscita dei due amici, a bordo dell’autovettura di Prato, alla ricerca di un soggetto al quale ‘fare del male'”.
Secondo la Cassazione è “un dato probatorio incontroverso quello secondo cui i correi, non essendo riusciti a individuare un soggetto su cui sfogare e loro perversioni, decidevano di contattare, tramite Prato che lo conosceva, Luca Varani” . Lo fecero “allo scopo di concentrare su di lui le loro perversioni, seguendo uno schema operativo che prevedeva la neutralizzazione della vittima mediante l’Alcover”, il farmaco con il quale lo stordirono. Si erano messi in contatto con Varani “allo scopo di infliggerli sofferenze fino a farlo morire, allo scopo di trarre piacere da tale esperienza”, “nella consapevolezza che la loro azione avrebbe comportato l’uccisione della vittima”. E questo, secondo i giudici, valida la decisione di riconoscere l’aggravante dei motivi abietti.