Quest'anno, il punto di ritrovo scelto è stato piazzale Ostiense, davanti alla sede di Acea, dove sono stati accesi fumogeni, pronunciati discorsi e intonato cori contro la vicenda delle presunte vessazioni subite da alcune hostess dell'azienda
In migliaia sono scesi in piazza a Roma per la manifestazione organizzata dal movimento femminista e transfemminista di “Non una di meno”, in occasione della Giornata internazionale per i diritti delle donne. Dai vestiti alle bandane, dai fiocchi ai nastri, arrivando ai capelli e ai rossetti, in diverse tonalità di viola e rosa, le dimostranti si sono strette attorno a un furgone a cui sono appesi diversi striscioni, come “Sciopero femminista 8 marzo”.
Quest’anno, il punto di ritrovo scelto è stato piazzale Ostiense, davanti alla sede di Acea, dove sono stati accesi fumogeni, pronunciati discorsi e intonato cori contro la vicenda delle presunte vessazioni subite da alcune hostess dell’azienda. Sempre sul furgone, altri striscioni: “Se ci fermiamo noi si ferma il mondo”, “mandiamo avanti il mondo, abbiamo spese, reddito di autodeterminazione subito”. Tra bandiere del movimento femminista, si vedono anche quelle anarchiche, comuniste e della pace che colorano il corteo. Una festa di colore rosa, animata dai canti, dalla musica e dai balli delle attiviste. Sono stati esposti anche alcuni cartelli che recitano: “Il sesso senza consenso è stupro”, “insegna ai tuoi figli la non violenza, non a noi a non mostrare”. Un altro cartello, raffigurante un utero, porta la scritta: “Se cerchi di controllarmi non sarò l’unico a sanguinare”. E ancora: “Il desiderio più sfrenato? Abortire il patriarcato”. Alcune persone indossano delle parrucche rosa, altre si sono disegnate la faccia, con una signora che regge in mano “il racconto di un’ancella” di Margaret Atwood.
Nel corso della manifestazione organizzata da Non una di meno a Roma a difesa dei diritti delle donne, sono stati fatti riferimenti all’anarchico Alfredo Cospito e alla strage dei migranti morti davanti alle spiagge di Cutro, in Calabria, lo scorso 26 febbraio. “Sono 139 giorni che viene portata avanti la lotta di Alfredo”, dice una manifestazione al microfono. “È stata smascherata la realtà di questo regime del 41 bis. Si tratta di tortura, condizioni totali di isolamento, di limitazioni ai contatti con l’esterno e di condizioni terribili all’interno del carcere. Si è svelato quello che rappresenta il 41 bis ed è nata una mobilitazione, che adesso deve continuare. Politica e magistratura hanno affermato che non è solo applicabile per la lotta alla mafia ma anche a coloro che si sono limitati a continuare a esprimere, anche se da detenuti, il proprio pensiero, a partecipare pubblicamente al dibattito politico. La protesta pacifica portata avanti con l’unico mezzo a disposizione di Alfredo viene definita da questa politica e da questo governo come un ricatto. La mobilitazione deve essere portata a vanti conto 41 bis e ostatività ma anche per pensare una società in cui il carcere venga superato”, ha concluso la militante. (segue).
Poco più tardi, invece in via Marmorata, è stata fatta un’azione dimostrativa in cui decine di persone si sono sdraiate tra il furgone e la testa del corteo, per ricordare la strage che ha coinvolto “un’imbarcazione con a bordo 180 persone che è stata travolta dalle onde nel comune di Cutro”, ha spiegato una manifestante al microfono”. A bordo – ha ricordato – erano presenti donne, uomini, bambini di nazionalità siriana, iraniana afgana e pachistana. Partiti dalla Turchia 4 giorni prima, il 22 febbraio. L’urto con il banco di sabbia è avvenuto a circa 200 metri dalla costa, eppure sono morte 72 persone, tra le quali molti bambini, molti altri sono rimasti orfani, e il numero di dispersi è ancora imprecisato. In questa piazza – ha spiegato l’attivista – abbiamo voluto rappresentare questi 200 metri, perché a uccidere queste persone non è stata la furia delle onde, ma le politiche dei confini”.
“Questi 200 metri non sono uno spazio vuoto, ma lo spazio di una scelta politica tra il salvare e il lasciare morire. Sono passati 10 anni dal naufragio del 3 ottobre a Lampedusa, ma non è il mare che ha ucciso oltre 26 mila persone migranti dal 2013 a oggi lungo le rotte del Mediterraneo, bensì le politiche dei governi, dell’Italia e dell’Europa. Il ministro Piantedosi, del quale pretendiamo le dimissioni, ha provato a colpevolizzare le persone migranti che hanno scelto di partire, perché potessero decidere sulle proprie vite. La lotta per la libertà di movimento è la nostra lotta, noi saremo sempre alleati di chi lotta contro i confini. Invitiamo tutti l’11 marzo alla manifestazione a Cutro per cacciare Piantedosi, Salvini e questo governo razzista”, ha concluso la manifestante. A queste parole è seguito un minuto di silenzio.