Alla vigilia della ‘’Festa del Cinema’’ di Roma, nella sala dell’Anica, con il Premio Oscar e collega, Dante Ferretti, ha presentato il suo primo libro: ‘’Il ragazzo con il cappotto di vetro’’
Due David di Donatello, un Ciak d’oro, un nastro d’argento, una chioma di Berenice, un PhenomenaFestival del 2018, vari altri premi tra quali il Cinematrophic Academy Film. Incontriamo lo scenografo Francesco Bronzi a margine della applaudita presentazione, a Roma, alla sala cinema Anica, con il collega, Premio Oscar, Dante Ferretti, del suo primo libro : ‘’Il ragazzo con il cappotto di vetro’’, edito da Poderosa.
Dopo aver realizzato la scenografia di una settantina di film coi maggiori registi, da Gillo Pontecorvo, a Dino Risi, a Giuseppe Tornatore, a Robert Dornhelm, ai Fratell Taviani, Jerzy Skolimowski, a Alastair Reid, aUli Edel, a Robert Michael Lewis, Bronzi, 90 anni portati benissimo, rompe gli indugi e ci fa conoscere la sua vena di scrittore oltre che di artista.
‘’Ho già pressoché pronto – annuncia alla vigilia della ‘’Festa del Cinema’’ – ‘’Il cinema come avventura’’, una raccolta di episodi-retroscena, fino ad ora rimasti sconosciuti, che ho vissuto in prima persona durante il mio lavoro. Può bastare come esempio l’attrito traMarlon Brando e il regista Gillo Pontecorvo, creatosi già dopo le prime settimane di riprese. Quando Brando decise di abbandonare il film definitivamente, fui chiamato per guidare, fortunatamente con successo, ladelegazione di chi lavorava sul set per convincere Brando a superare i rudi modi di Pontecorvo e rimanere a Cartagena, in Colombia, consentendo a tutti di continuare la lavorazione del film’’.
‘’Mi è sempre piaciuto scrivere – racconta – anche perché leggo molto, da quando avevo 10 anni. In casa ho sempre diversi libri ‘’aperti’’, tengono viva la immaginazione e la fantasia che ha sempre alimentato il mio lavoro e la stessa formazione. Dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti, mi trasferisco a Roma, dove vinco la borsa di studio al Centro Sperimentale di Cinematografia. Ma apprendo il mestiere quando, insieme a Dante Ferretti, che diventerà un grande amico, sono aiuto scenografo con Federico Fellini e poi per sei anni resto accanto, come aiuto, al grande scenografo Luigi Scaccianoce’’.
Bronzi confida di essersi azzardato a leggere il primo capitolo de ‘’Il Ragazzo con il cappotto di vetro’’ ,diecianni fa, ad alcuni amici che lo definirono stupendo. ’’E’stato l’entusiasmo che ho colto – afferma – ad incoraggiarmi a proseguire il racconto della mia infanzia a Napoli e da ‘’sfollato’’ in campagna. Infatti mia madre, per non farmi passare le notti dei bombardamenti sulla città in un deprimente e umido ricovero antiaereo ,decise di inviarmi da una sua sorella in un paesino toscano, dove non erano ancora giunti gli alleati dopo lo sbarco in Sicilia’’.
Bronzi, inventa una prefazione nella quale rassicura un nipote di 10 anni che gli avrebbe scritto un racconto per narrargli come viveva un ragazzino della sua età durante la guerra. E se teniamo conto che stiamo vivendo fra due guerre, in Ucraina e in Medio Oriente, e gli ‘’sfollati’’ sono migliaia di ogni età, di ogni classe sociale e dovunque, il libro non assolve solo a una promessa, ma diventa anche uno sguardo sulla tragica attualità ai margini della guerra.
Il racconto inizia con un allarme antiaereo che sorprende l’autore in una strada di Napoli ( come potrebbe essere oggi la capitale dell’Ucraina, Kiev ) per comprare i fiammiferi necessari alla madre per cucinare. Indossa, costretto da lei, un orribile, pesante, riadattato cappotto autarchico, confezionato con lana di vetro.
‘’Ricordo – confida Bronzi – che mentre mi recavo alla ricerca dei fiammiferi , il suono terrorizzante delle serene mi costrinse a tornare in fretta verso casa. Non riuscivo però a correre veloce come avrei voluto, forse per la paura o per il cappotto troppo pesante. Ma poi, riflettendo, imputai le difficoltà di movimento alpensiero di quanto grande fosse l’apprensione di mia madre, responsabile di avermi concesso di uscire da solo ’’.
‘’In quella cascina alla periferia di Arezzo, dove mia madre mi spedì per allontanarmi dalla bombe – continualo scenografo/scrittore – non c’era acqua corrente, né elettricità. Mi ritrovai come amico: un contadino di quasi 17 anni che mi ha insegnato a potare gli ulivi, ad andare a caccia di lucertole, a fumare rametti di vitalba e con parole primitive ad accennare lezioni di sesso. Mi spinse infatti verso una coetanea di nome Margherita , della quale ricordo solamente un corpo bianco , puro , ingenuo sdraiato su un morbido tappeto di giovani piantine in un campo di fave’’.
Il racconto si illumina di episodi e di particolari: dalla ospitalità offerta a una numerosa famiglia, anch’essa sfollata alla cascina, al giovanissimo soldato tedesco, ferito gravemente, nascosto in cantina da una vecchia contadina. E come nelle scenografie, anche nel libro lafantasia di Bonzi si immerge nella realtà e in particolare in quella dei giovani che, in quel tempo di guerra, eranoprivi di tutto, ma ciononostante capaci di rassegnazione, ma anche di speranza. ‘’Non c’era futuro – conclude l’intervista – ma non ci siamo mai arresi. Ed è proprio quando non possiedi nulla che cerchi a tutti i costi di procurarti il futuro. Un atteggiamento che purtroppo non vedo nei giovani di oggi. E spero che il mio libro li inviti a riflettere’’.