Il Coraggio della Verità – The Hate U Give, il film di George Tillman Jr al cinema

Sull’identità e la violenza razzista, ispirato a un omonimo libro e un verso di Tupac. Presentato alla Festa del Cinema di Roma, al cinema dal 14 marzo

Starr è la protagonista del film di George Tillman Jr Il coraggio della verità - The Hate U Give al cinema dal 14 marzo

Arriva finalmente in sala Il Coraggio della Verità – The Hate U Give, il film che George Tillman Jr ha presentato all’ultima Festa del Cinema di Roma e ispirato al best seller di Angie Thomas. Il film sarà in sala il 14 marzo distribuito da 20th Century Fox nelle sale del circuito UCI. 

Starr è un’adolescente come tante, vive due vite: quella nel suo quartiere e quella nella scuola di élite che frequenta, ma tutto cambia quando assiste inerme all’omicidio di uno dei suoi più cari amici da parte della polizia. Starr dovrà ritrovare se stessa e alzare la sua voce per non avere i propri diritti calpestati. 

Il titolo originale del film è ispirato al rapper Tupac, il THUG LIFE che appare su meme e t-shirt è l’acronimo di The Hate U Give Little Infants Fucks Everybody (= l’odio che dai ai piccoli fo**e tutti). È spiegato nel romanzo di Angie Thomas che ha colpito il regista George Tillman Jr:

“Ho scoperto il libro nel gennaio del 2016 quando lavoravo a Luke Cage, mi arrivò una copia prima ancora che venisse pubblicato e mi sono reso conto che ero legato alla storia. Una delle connessioni era relativa all’identificazione, nella cultura afro-americana esiste il fenomeno del code switching: sei un afro-americano nella tua comunità e quando incontri i bianchi comprometti chi sei solo per fare sentire meglio gli altri ed è qualcosa che colpisce tutti noi. Ci ho messo molto tempo a capire che sto bene con me stesso ed è per questo che la storia di Starr mi ha colpito, anche la brutalità della polizia è qualcosa di rilevante, ma l’identità di Starr mi ha coinvolto di più”.

Al centro del film c’è anche una critica all’uso scellerato delle armi negli USA:

“Sì, il controllo delle armi in USA è uno dei temi del film. L’intera faccenda riguarda il sistema: perché la questione della razza è così importante, penso che si rifà al capitalismo e alla schiavitù, quando esistevano gli schiavi c’erano le pattuglie di bianchi che riportavano a casa gli schiavi che provavano a scappare. La polizia è un’evoluzione di quelle pattuglie ed è qualcosa legato alla razza, nel film si dice è che il colore della nostra pelle è la nostra arma. Il loro addestramento rimanda a questo, al concetto di proprietà, all’idea del controllo. Dietro c’è il capitalismo e la schiavitù, è un circolo vizioso e pagarne le spese è la comunità. Il controllo delle armi è sempre stato un problema”.

A Starr – come a moltissimi giovani afro-americani – viene fatto un discorso in cui il padre la mette in guardia sulla brutalità della polizia, anche questo divide la società americana:

“Molti dei genitori fanno dei discorsi ai loro figli, ma se sono bianchi e privilegiati parlano di amore e sessualità. In altre comunità afro-americane o che appartengono agli strati più bassi della popolazione si parla della brutalità della polizia ed è molto importante perché da questo dipende la loro sopravvivenza. In altre parti dell’America non hanno mai sentito parlare o pensato a questo, è per questo che ho scelto di iniziare il film con una ripresa di un campo da basket e qualcuno che li guarda dalla finestra, è una questione di privilegio molti di loro non hanno mai pensato a come comportarsi di fronte a un ufficiale di polizia”. 

Al di là di Tupac, ai giovani afro-americani vengono ancora insegnati i diritti dei Black Panthers:

“Da bambino mi ricordo che a quattro anni ho visto una foto di una persona con un berretto e un guanto nero e ho pensato che fosse la cosa più figa del mondo. Penso che se tutti i genitori bianchi o afro-americani insegnassero quei valori ai figli avremmo più rispetto e vivremmo meglio insieme”. 

Al centro del film c’è un forte desiderio di cambiamento della società americana:

“Volevo fare questo film perché voglio un cambiamento ed è quello che offre il libro. Dobbiamo cambiare il sistema e l’insegnamento, il modo che i poliziotti hanno di guardare bianchi o neri. Anche Carlos, uno dei protagonisti del film, seppur afro-americano ha dei pregiudizi. In Gran Bretagna o qui i poliziotti trattano le persone in modo diverso”. 

In una delle scene più belle del film Starr finalmente trova la sua voce:

“È stata una mia interpretazione del libro perché i poliziotti ne escono puliti, le cose stanno iniziando a cambiare, ma c’è ancora una lunga strada da fare. Per me si deve usare la propria voce anche se davanti ci sono ostacoli insormontabili, da regista volevo che si capisse questo: una voce può influenzare gli altri. Come Chris nel film che dice: Io non vedo il colore della tua pelle, ti vedo per quello che sei. La sua voce mostra che c’è una differenza, abbiamo culture e diverse che dobbiamo riconoscere, quella voce che grida Mai parla alla polizia e al sistema”.

La violenza della polizia è un tema ricorrente nella filmografia americana contemporanea, ma per Tillman c’è anche dell’altro: 

“Per raccontare Starr e la sua famiglia, mi ricordo alla fine degli anni 70, mio padre era stato da poco licenziato e nello stesso periodo un uomo fu ucciso nel nostro quartiere. Mio padre ci disse che quell’anno a Natale non ci sarebbero stati regali e c’erano stati incidenti nella comunità. Nonostante tutto la mia famiglia non ha mai perso il sorriso, c’erano crisi e lacrime, ma se guardo qualsiasi famiglia come la mia c’erano bellezza, risate e anche tanto dolore”. 

Dolore e morte non piegano né i Carter, né moltissime altre famiglie di colore:

“Si trova sempre la gioia, anche durante gli anni della schiavitù. I Carter, anche nei momenti più negativi, non perdono il sorriso, restano uniti e continuano a pregare. Molti si possono riconoscere in questo, c’è l’universalità della famiglia: tutti si riconoscono nel trovare nell’amore la forza di andare avanti”.

La parola – come viene suggerito nel film – è l’arma più potente che si ha:

“Vorrei tanto che i ragazzi vedano questo film. Oggi i social media hanno un impatto pazzesco, quando capisce che deve fare di più comprende che l’uso della voce è fondamentale. Ai ragazzi diamo il diritto di parola, ma li censuriamo. Volevo che tutti i ragazzi dicessero quello che sentono, senza censure. Ho fatto un film per tutti: non volevo dare lezioni anche perché i ragazzi non le vogliono”. 

Nell’America di Trump le battaglie per i diritti diventano ancora più difficili:

“Volevo fare questo film perché gli USA non sono mai stati così divisi. Penso e sono convinto che non si vedano ruoli così forti di uomini afro-americani al cinema: dagli anni 80 al 2005, la maggior parte delle famiglie afro-americane al cinema erano formate da genitori single perché uno era in carcere, volevo rompere questo stereotipo. In USA se vedi un afro-americano con tatuaggi e trecce pensi che appartenga a una gang, ma volevo dimostrare il contrario. Quello che sottolinea anche Starr è che i suoi genitori hanno commesso degli errori, ma non vogliono che i loro figli li ripetano. Penso che il capo famiglia sia fondamentale ed è lui il fulcro del film”.

Il titolo del film è dedicato a una canzone di Tupac e come cantava il rapper l’amore sembra l’unica soluzione:

“Amo che il titolo venga da THUG LIFE, un’idea che Tupac aveva avuto nel 92-93 subito dopo un incontro con la polizia ad Atlanta nel 1991. L’idea viene dalla struttura di potere: l’odio alimenta odio verso i bambini, la comunità. L’odio alimenta la brutalità della polizia… tutto torna perché i ragazzi ci stanno a guardare. Se dai amore ti sarà dato amore, basta trattare gli altri con rispetto. Tupac dice ‘Come possiamo avere così soldi per la guerra, ma non per dare da mangiare ai poveri?’ (They got money for wars, but can’t feed tha poor) in da Keep Ya Head Up”. 

Il film è stato paragonato a BlacKkKlansman per l’uso della white voice, ma è diverso:

“Volevo mostrare la differenza, come puoi cambiare con facilità. È successo anche a me quando mi hanno trasferito in una scuola per soli bianchi e lo vive anche Starr. Non puoi essere completamente te stesso, non puoi usare slang o ascoltare la mia musica, non sei accettato. Anche negli anni 90, quando già lavoravo nel cinema non ballavo musica hip hop perché non volevo essere etichettato, ma mia moglie mi disse: Sii te stesso. Avevo più di 20 anni e provavo ancora vergogna è qualcosa che viviamo ogni giorno, Starr è diversa a causa del code switching, perché non posso essere me stesso se i bianchi ascoltano l’hip hop? Mi lega molto a Starr”.

È una piccola perla per com’è girato e per la splendida storia che racconta, non perdetevi Il Coraggio della Verità – The Hate U Give da domani al cinema con 20th Century Fox.

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