La carovana dei migranti e il sogno americano

Dopo aver rifiutato l’offerta di accoglienza in Messico, oltre 5mila persone sono in marcia verso il confine con gli Usa

La carovana dei migranti, passata in due settimane da poche centinaia a oltre 5mila partecipanti, prosegue il suo viaggio verso il sogno americano. Respinta infatti l’offerta di accoglienza in Messico da parte del presidente Enrique Peña Nieto, i migranti ieri sono arrivati a migliaia nello stato di Oxaca, nel sud del Paese. Partita lo scorso 13 ottobre dall’Honduras per raggiungere gli Stati Uniti, la marcia ha davanti a sé ancora 3mila chilometri per arrivare alla meta. Impiegheranno, secondo i loro calcoli, almeno un mese di cammino a piedi per lasciarsi alle spalle la madre-patria Honduras, considerata oggi uno degli Stati più violenti al mondo (tra quelli in cui non ci sono, almeno ufficialmente, guerre in corso).

Neppure le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sembrano aver incrinato la speranza di questi uomini, donne e bambini nel cercare a tutti i costi un’occasione di riscatto in quella parte del nord del continente americano, più ricca e fortunata rispetto ai cugini del sud. Si vedrà se Trump manterrà la promessa – e il suo pugno duro in fatto di immigrazione fa pensare che sarà così – di chiudere il confine col Messico indistintamente a tutti gli immigrati che arrivano dal Centro America, vietando l’ingresso anche a chi richiede asilo politico.

La carovana, allo stesso tempo, rappresenta una ghiotta occasione per il presidente per ricompattare le truppe del partito repubblicano in vista delle elezioni di metà mandato, il prossimo 6 novembre. Dall’altra parte le associazioni di latinoamericani negli Usa hanno subito risposto, sollecitando i 29 milioni di latinos che hanno diritto al voto a far sentire la loro voce dando la preferenza in cabina elettorale a candidati che li rappresentino. E sui social l’hashtag #latinoban (“divieto ai latinos”) potrebbe diventare un boomerang per Trump.

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Washington è andata più volte in pressing sui Paesi dove è transitata la carovana in queste settimane – Honduras e Nicaragua – perché fermassero i migranti, minacciando in caso di “no” un drastico taglio agli aiuti economici. Aut aut che ha creato non poche difficolta alle autorità nicaraguensi, firmatarie della Convenzione Centroamericana di libera mobilità, per cui i cittadini di quattro Paesi  (Guatemala, El Salvador, Nicaragua e Honduras) possono muoversi liberamente nella zona. Molti migranti raccontano di tentativi di persuasione – quasi intimidatori – da parte delle autorità locali per convincerli a tornare indietro e a non varcare il confine messicano illegalmente. Una prospettiva che però, secondo le testimonianze raccolte dalla stampa locale, risulta meno spaventosa dei rischi che corrono tornando in Honduras.

Il Messico, chiamato a raccolta dall’alleato a stelle e strisce – che gli ha ricordato di essere pronto in caso di necessità a inviare 800 soldati al confine sud – ha messo sul tavolo la proposta più forte: un piano di accoglienza denominato “Sei a casa tua” che prevede l’offerta di permessi di lavoro temporanei ai migranti che fanno richiesta di asilo, fornendo loro anche documenti, assistenza sanitaria e istruzione. Ma per beneficiarne i richiedenti dovrebbero rimanere negli Stati meridionali messicani di Chiapas e Oaxaca.

Ma è stato un flop. Secondo il governo messicano, sono state presentate 1.743 richieste di status di rifugiato, mentre 196 persone hanno rinunciato alla marcia e chiesto il rimpatrio assistito. Ma il “no” di ieri da parte della maggioranza delle persone in cammino giunte nello stato di Oxaca fa capire quanto l’offerta sia stata ritenuta poco allettante. Il possibile motivo lo spiega Denis Omar Contreras, responsabile della Ong “Pueblos sin Fronteras” e portavoce della spedizione: “Il 99% dei partecipanti alla carovana – ha assicurato Contreras – ha rifiutato perché riguarda una residenza in Chiapas e Oaxaca, Stati le cui condizioni di vita sono simili a quelle dei Paesi di provenienza, l’Honduras, ma anche il Guatemala e El Salvador”.

Sembra, inoltre, che al primo contingente si potrebbe aggiungere un altro gruppo di circa 2.500 persone che sta raggiungendo il confine tra Guatemala e Messico. Un’altra complicazione per i piani di Peña Nieto, dopo il fallimento della prima trattativa con la quale sperava di trattenere i migranti nel sud del Paese.

L’inizio della marcia

Tutto è cominciato con un volantino diventato in poco tempo virale sui social honduregni. Un disegno di un uomo rappresentato di spalle su sfondo rosso, la scritta “Caminata del migrante”, una freccia che indica il Messico e una data: 12 ottobre, San Pedro Sula, cittadina nel nord est del Paese. Secondo il quotidiano honduregno La Prensa, alla chiamata rispondono solo 160 persone, che la sera stessa diventano 600 fino a superare quota 1.000 il giorno successivo.

I primi 145 chilometri li percorrono quasi interamente a piedi fino al confine con il Guatemala da dove procedono a tratti approfittando di passaggi offerti come gesto di solidarietà dai camionisti. Man mano si sommano alla marcia altre persone, non solo honduregni ma anche guatemaltechi e salvadoregni. Arrivano il 19 ottobre nella cittadina di frontiera di Tecún Umán e da lì entrano in Messico. Le tv messicane mostrano in diretta il momento in cui la carovana sfonda i cancelli, correndo sul ponte internazionale Dr. Rodolfo Robles, al grido di “Sí se puede!” (“Sí, possiamo farcela!”).  Sul lato messicano, gli agenti della polizia federale cercano di contenerla con poco successo.

Qualche giorno dopo, una seconda carovana di 1.500 persone, oggi 2.500, parte sempre dall’Honduras e si appresta i questi giorni a varcare lo stesso confine. Alcune delle località dove è passata la carovana sono note perché da lì transita il treno che per anni molti di loro hanno usato per raggiungere gli Stati Uniti, conosciuto come la “Bestia” (per le terribili condizioni del viaggio).

Un successo inaspettato

Sono diversi i fattori che hanno contribuito a trasformare una carovana, nata da poche centinaia di persone, nella più grande marcia verso il nord della storia recente del Centroamerica. Tra questi, la copertura dei media locali ha creato aspettativa, dando coraggio a chi, disperato,  era in dubbio se intraprendere il viaggio. “Non mi aspettavo che crescesse così tanto – ha dichiarato Bartolo Fuentes, difensore dei migranti ed ex parlamentare honduregno – pensavo si sarebbe fermata a mille persone”. Lui stesso ha ammesso, in un’intervista rilasciata alla BBC Mundo, di aver offerto consigli ai migranti attraverso un gruppo WhatsApp organizzato per coordinare l’uscita dal Paese in cui sarebbe stato inserito. Per Fuentes, la carovana permette ai migranti di viaggiare più sicuri, muovendosi in gruppo, e allo stesso tempo di mandare un messaggio politico al governo dell’Honduras.

Dal Guatemala, anche il responsabile della Casa del Migrante, il sacerdote Mauro Verzeletti, che da più di 20 anni si occupa di questi temi, dichiara di non aver mai assistito a un fenomeno di questa portata. “L’immigrazione di massa è la nuova strategia” – ha detto – e rappresenta, dal suo punto di vista, un messaggio che i poveri mandano al mondo intero: “Siamo persone, esseri umani e abbiamo dignità e diritti”. Per Verzeletti mobilitazioni di questo tipo si realizzeranno anche in altri paesi: El Salvador si candida ad essere il prossimo con una carovana in partenza alla fine di ottobre.

 

 

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