In sala il 20 distribuito da Satine Film. La regista a Roma per il Rendez-Vous, protagonista Isabelle Huppert
Le cose che verranno – L’Avenir è il quinto film di Mia Hansen-Løve ed è in sala dal 20 aprile, distribuito da Satine Film. Mia Hansen-Løve è stata una degli ospiti del Rendez-Vous con il Nuovo cinema francese e ha presentato il suo film che ha per protagonista Isabelle Huppert. L’attrice francese, dismessi i panni di Elle, qui è una professoressa di filosofia in cerca di compagnia. Il film ha vinto l’Orso d’Argento al Festival di Berlino per la miglior regia.
Molti dei suoi film precedenti erano dedicati all’adolescenza e altre età della vita, mentre Le Cose Che Verranno ha per protagonista una professoressa di Filosofia che sta per diventare nonna: “Penso che è un soggetto che avevo in me da molto tempo, ma mi spaventava di trattare proprio per questo aspetto perché è più duro di quelli che avevo affrontato. Penso che quando si hanno 50 anni, è molto più difficile reinventarsi rispetto a quando si hanno 20 anni quando tutto sembra ancora possibile. Penso che non avrei potuto realizzare questo film se non avessi fatto Eden. Anzi l’ho scritto all’ombra di Eden, è stato molto difficile da produrre e tutto a un tratto, in questo caso il percorso era stato più complesso. Preparando Eden, ho iniziato a scrivere Le Cose Che Verranno in un angolo della mia scrivania. Penso che il film mi ha fatto meno paura perché avevo meno coscienza di scriverlo. Il soggetto era meno pesante e ho avuto meno paura, perché lo scrivevo mentre lavoravo su Eden non ho avuto la consapevolezza di scriverlo. Concentrarmi su questo film da solo mi avrebbe spaventata di più e la paura è scomparsa”.
Le cose che verranno ha per protagonista Isabelle Huppert: “Sì, sin dall’inizio, anche il fatto di averla in testa, mi ha dato coraggio e l’energia per scrivere il film. Sapevo che lei aveva il carisma e l’autorità morale per incarnare questo personaggio e aveva anche l’ironia e il senso dell’umorismo del personaggio, due aspetti importanti nel film come la filosofia. Non mi ha ispirato solo la saggezza del personaggio, ma anche la sua ironia, la sua leggerezza e sapevo che Isabelle Huppert era l’unica attrice che poteva recitare a questo livello e donare così anche sottigliezza, l’ambivalenza, c’è una difficoltà, una crudeltà, ma allo stesso tempo una leggerezza. Non l’avrei potuto scrivere se non avessi avuto lei in mente, è la prima volta che mi succede, non mi era mai successo prima”.
Nel film, la professoressa di Filosofia cita alcuni brani e frasi di Jean-Jacques Rousseau e Blaise Pascal. Autori noti alla regista, laureata in Filosofia:
“Sì, non ha avuto bisogno di andare a cercarle. Non è perché stessi realizzando un film su una professoressa di Filosofia che mi sono detta bisogna mettere delle citazioni. Non ho pensato molto a chi mettere, ma sono autori che mi hanno accompagnato. Non ho nessuno rapporto con questi autori, ma erano presenti nel mondo in cui sono cresciuta. Erano nomi familiari, hanno accompagnato i miei genitori e me per esempio Günther Anders e L’obsolescenza dell’uomo è un libro che ho letto e amato molto, Il perdono radicale, l’ho letto. Ho studiato sia Filosofia che Tedesco, ne ho letto alcuni, ma non certamente tutti. Sono degli autori che sono delle presenze per me e hanno marchiato la mia infanzia. Sono venuti tutti alla mia mente, non ho dovuto riflettere su chi scegliere. Sono loro che si sono imposti”.
Non solo la filosofia, come spesso nei suoi film anche la natura gioca un ruolo importante in Le cose che verranno: “La natura, nella sceneggiatura, prende il posto quello che in una scrittura più classica sarebbe stato il nuovo amore di Nathalie. Nel film non c’è nessun nuovo amore, lei non ha nessuna nuova relazione. La natura assume questo ruolo vuol dire la luce, la libertà, l’estate che si ripropone ogni anno. È una cosa che mi ha sempre colpito in mia madre, come apprezzasse le cose così semplici, sono cose universali e sono un vero conforto, un amore per la vita. Non tiene all’incontro con nuovo amore, il suo amore per la natura è la cosa che mi lega più a lei. In tutti i miei film, salvo in Eden, c’è un rapporto con la natura, la luce e le stagioni è qualcosa che mi ha portato a fare cinema, questa bellezza e qualcosa che mi lega al personaggio”.
In Le Cose Che Verranno si ascoltano pochi brani della colonna sonora, come li ha scelti la regista? “Non c’è una vera e propria colonna sonora, ma solo alcuni brani. Ce n’è uno di Schubert, la canzone alla fine e quella di Claire Fontaine. Non c’è nessun brano musicale nei primi 45 minuti, il primo ad arrivare è quello di Schubert. Ho sempre usato poca musica nei miei film, a parte in Eden per ovvie ragioni (era dedicato alla musica dei Daft Punk, ndr) perché era un film sulla musica. Per me la musica è qualcosa di sacro, sono spesso infastidita dall’uso della musica in alcuni film perché spesso manipola i sentimenti dello spettatore. Sì, ho amato alcune musiche nei film, ma non sono mai riuscita nei miei film a lavorare con un compositore per il mio film”.
Per la regista: “Nei miei film, la musica arriva dall’interno, è un personaggio ad ascoltare i brani, magari perché la sente alla radio. Poi questa musica magari prosegue nelle altre scene, ma ho sempre il bisogno che è il personaggio che l’ascolti, ma non la uso con la funzione di decoro. Ho il bisogno che sia organica con il mio film ed è molto importante. È qualcosa d’importante per me e li trovo durante la gestione dei film. Non li vado ad aggiungere a posteriori, per esempio adesso lavoro a un film e sto cercando ora la musica. Spesso, come il caso della canzone di Schubert, se ascolto un brano prima della realizzazione di un film, finisco per ascoltarli molto e dopo e come se mi aiutassero a cercare la nota. È come se avessi un dialogo intimo con la musica dei miei film”.
Sia in Eden che in Le Cose Che Verranno i personaggi sono al limite fra la melanconia e l’entusiasmo: “Penso che coesistono anche in me, è un modo di definirmi. O almeno è così che mi sono vista per molto tempo. Per la prima volta in cinque film pensavo di non aver creato un personaggio malinconico, ma evidentemente c’è un po’ di melanconia che mi scappa perché a causa del soggetto forse c’è quest’elemento. Ma il personaggio di Nathalie è combattivo, con i piedi per terra, ma non mi sembrava malinconico, magari è venuto fuori così. Penso che mi abbia portato qualcosa, ho sempre pensato che esista un dialogo fra la nostra vita e i film che facciamo, per questo ho l’impressione che questo film e penso che mi abbia tirato verso la vita.
Eppure quando lo scriveva la regista ha pensato che Le Cose Che Verranno fosse il suo film più pesante: “Scrivendolo l’ho pensato, perché il soggetto era duro, non c’era nessun happy ending e avevo paura che il film mi rattristasse. Invece è un film luminoso e leggero”.
Il lutto, la perdita di un amore, l’abbandono, molte delle tematiche del film, ma qualcosa è cambiato in Le Cose Che Verranno: “Anche qui c’è il lutto, a prima vista sembra un film senza via d’uscita, ma c’è la liberazione. Per me c’è stato un grande insegnamento che traggo dal film, scrivendolo pensavo si trattasse di un personaggio che malgrado perda tutto, trova qualcosa non necessariamente materiale, all’interno di se stessa, certo non assoluta perché le manca qualcosa. Trova e sa apprezzarla, questo film mi ha aiutato anche molto nella vita privata”.
Vita privata che la giovane regista non ha inserito In Le Cose Che Verranno, nel film la rinascita non passa necessariamente dalle donne. “Non mi piace generalizzare perché esistono uomini che attraversano periodi simili. L’esperienza umana non si riduce al sesso e ho sempre delle reticenze a generalizzare”.
“Ho osservato la mia esperienza personale a Parigi nel 2015, ma ho visto più donne trovarsi in una situazione di solitudine, ho avuto incontri con donne che non riducevano la loro felicità all’incontro di nuove persone, come Nathalie, non lo rifiuterebbero, ma non basano la loro vita su questo. Nathalie poi nega spesso la sua ricerca dell’amore, forse non bisogna crederle”.
“Penso che sia molto femminile arrivare a cercare la propria felicità lontana da un uomo, cavarsela da sole, è qualcosa che ho visto fare a mia madre, mentre molti uomini separati che ho conosciuto spesso gli uomini che hanno spesso trovato un’altra donna dopo una separazione…Ma non è il caso per tutti”.
Anche in Nella casa c’è un professore protagonista, ma per Hansen-Løve non ci sono paragoni fra i due film: “L’ho visto, ma penso che siano due film molto differenti. Anche se si scambiano libri e ci sono alunni. Ma non è un film a cui mi sono ispirata. Rappresentare il pensiero e la filosofia è stato difficile, ma ho avuto la voglia di fare questo film perché non erano molti a parlarne, spesso finivano per diventare un cliché. Volevo fare qualcosa di più autentico, volevo un film sulla filosofia vicino alla verità. Forse c’è un film, che non ho visto durante la realizzazione del film ed è un cineasta Brisseau Noces Blanches, con Bruno Cremer sulla storia d’amore fra un prof di filosofia e una sua allieva, Vanessa Paradis”.
Il film del 1989, inedito in Italia, non l’ha visto neanche la regista: “L’approccio era esattamente quello che cercavo. È stato mio padre a dirmi che c’era solo un altro film che aveva rappresentato la filosofia in modo autentico nel grande schermo. Alla fine l’ho visto e mi sono identificata con la rappresentazione della filosofia nel film”.
“C’è qualcosa che mi ha colpito davvero di questo film”, prosegue la regista, “in rapporto alla natura. Alla fine dell’altro film, molto triste, l’eroina muore e Bruno Cremet si ritrova solo e lei gli ha scritto, prima di morire, gli scrive:Ma c’è l’oceano, François. E nell’ultima scena si vede lui davanti solo all’oceano. Era quello che dicevamo prima di Isabelle Huppert, quando non resta più nulla, c’è solo la natura, il mondo e l’orizzonte. Il film mi ha colpito profondamente e mi ha ricordato delle cose delle mia vita”.
“Ho sempre avuto la fede, può essere cieca, naïf che si potevano condividere delle storie molto personali al cinema e arrivare all’universale. Penso che si creda che esistono due approcci al cinema, c’è chi pensa che bisogna eliminare le specificità, usare degli archetipi se non si è universale. So che molti film sono fatti cosi e alcuni sono molto buoni. Io al contrario m’immergo in un mondo estremamente personale, che può sembrare limitato rispetto alla realtà, così cerco di arrivare all’universalità. Questa è la mia idea di cinema, magari non funziona… ma è questa”, racconta la regista.
Molti critici in Francia l’hanno etichettata come erede di Éric Rohmer: “Non l’ho detto io (ride), tutto quello che posso dire è che io amo il suo cinema. È mia madre che me l’ha fatto scoprire, ricordo i miei genitori litigare dopo aver visto questi film. Mio padre che era irritato dai personaggi femminili, mentre mia madre che n’era colpita. Io mi sono sentita molto toccata dai suoi personaggi femminili ed è difficile parlarne. È talmente intimo il suo cinema che è difficile parlarne, ci sono dei film come Il raggio verde, forse il mio film preferito al mondo”.
“O La mia notte con Maud con Jean-Louis Trintignant. Non so se sapete che Roman Kolinka (Fabien nel film) è suo nipote, e a volte me lo ricorda. Il modo di filmare, la sobrietà del suo stile e l’apparente semplicità di filmare le sue storie che nasconde il sofisticato… tutto mi colpisce del cinema di Rohmer. Ma non ho scelto di imitarlo, ho deciso di trovare il mio proprio stile, la mia voce. Perché non bisogna riprodurre i propri idoli, poi se c’è qualcosa del suo cinema nei miei film… meglio così. Ma non sono io a doverlo rivendicare”, ha aggiunto la regista.
Le Cose Che Verranno è un film sulla libertà, qualcosa che Nathalie insegna ai suoi allievi: “Mi hanno spesso detto che l’eroina del film si rende conto che insegnare la Filosofia non era così facile d’applicare alla sua vita. Che una cosa era insegnare la saggezza e l’altra applicarla. Penso che lo stoicismo sia la sua forma di saggezza, ma non è detto che abbia la stessa saggezza. Lei è una professoressa, ma non una filosofa. L’idea di trovare un equilibrio fra idealismo e l’imperfezione che ci caratterizza. Ed è vero che è sempre al centro dei miei film. Sono cresciuta con questa ricerca dell’integrità a tutti i costi, o meglio i miei genitori me l’hanno trasmessa. La mia risposta è quella di fare dei film, questa è la mia risposta alla ricerca di vita e di idee, ed è vero che spesso il cinema è legato alla filosofia perché c’è il dialogo fra pratica e teoria. Nel cinema, bisogna scendere compromessi fra le due realtà. Questo è un punto molto interessante”.