"Avrebbe meritato un accorto piano di risanamento formale l'area che aveva subito le demolizioni di epoca fascista per trasformazioni che non furono mai portate a compimento", scrive il già soprintendente archeologo di Roma sulle pagine romane de La Repubblica
Riportiamo di seguito la lettera di Adriano La Regina, già soprintendente archeologo di Roma, apparsa oggi sulle pagine romane del quotidiano La Repubblica.
Siamo giunti all’atto finale del dramma edilizio di via Giulia. Sta infatti per concludersi con le ultime brutture il cantiere che ha rovinato la bella strada. Avrebbe meritato un accorto piano di risanamento formale l’area che aveva subito le demolizioni di epoca fascista per trasformazioni che non furono mai portate a compimento. Nel 2008 però si pensò di completare lo sventramento mediante l’edificazione di un parcheggio nel sottosuolo. Ciò in spregio alla ben nota impossibilità di costruire grandi strutture sotterranee nel Primo Municipio senza nuocere gravemente al patrimonio archeologico, come del resto era stato comunicato al Comune dalla Soprintendenza archeologica nel 1992 con un parere negativo proprio sul piano dei parcheggi.
Nel 2009 furono eseguite indagini preventive che misero in luce i resti di importanti monumenti antichi connessi con il trigarium, lo spazio per l’addestramento degli aurighi che correvano nel circo. Nel 2014 associazioni di cittadini, urbanisti, storici dell’arte, giornalisti, protestarono pubblicamente e si appellarono alle autorità, in primo luogo al Ministro per i beni culturali Dario Franceschini, che restò insensibile al problema della tutela. Paolo Portoghesi scrisse che la Città e il Ministero celebravano alla rovescia il cinqueccntesimo anniversario della morte di Donato Bramante, il quale aveva progettato la costruzione di via Giulia, svilendone l’opera. Pochi giorni dopo io lamentai su questo giornale che si stava violando un principio importante facendo prevalere interessi particolari su quelli pubblici della conservazione dei beni culturali. Ora iì parcheggio è stato costruito, pessimamente perché sporge al di sopra del suolo; l’area è racchiusa da un alto muro, che ha la funzione di nascondere le vergogne edilizie e il giardino che verrà realizzato, ma che a sua volta costituisce una presenza incongrua, sicché si prevede di mascherarlo con piante rampicanti.
La ferita arrecata a via Giulia sembra incancrenirsi. Qualcosa però si può ancora fare. Comitati di cittadini e illustri docenti di architettura stanno invocando una maggiore attenzione e si sono adoperati nel formulare suggerimenti e proposte per rendere meno offensivo il danno arrecato alla bellezza della strada con un cantiere che, per altro, costituisce da quindici anni un elemento di degrado intollerabile. Credo che via Giulia possa ben meritare l’interessamento del Ministro della Cultura e del Sindaco della Città. La mia speranza è che si possano trovare non piccoli aggiustamenti ma soluzioni veramente riparatorie e degne dell’opera di Giulio II e di Bramante. Questo può avere dei costi, ma non è bello peccare di meschinità al cospetto dei grandi.