Un museo per scoprire la ricchezza delle Periferie

Una iniziativa non solo in periferia, ma che ‘’colleziona’’ periferie e propone pratiche di cui far tesoro per una città di tutti. Secondo il direttore Giorgio de Finis la cultura può aiutare anche a tappare le buche.

Il Rif (riflessioni) Museo delle Periferie è una iniziativa di Roma Capitale, Azienda Speciale Palaexpo, Municipio VI.

Ideato e diretto da Giorgio de Finis ( antropologo e artista e inventore di dispositivi museali) ) il  Museo delle periferie intende accendere un riflettore sul tema delle periferie, nell’ambito di un’analisi più ampia del fenomeno urbano su scala globale.

L’obiettivo del museo d’arte contemporanea e del suo centro studi multidisciplinare è approfondire la conoscenza delle metropoli del terzo millennio, ma soprattutto immaginare e contribuire a realizzare, per il tramite di pratiche artistiche e relazionali, una città più equa, partecipata, inclusiva: la città di tutti.

In attesa di una sede definitiva (l’edificio sarà realizzato da privati, come opera a scomputo, in via dell’Archeologia a Tor Bella Monaca), il RIF inizia le sue attività con un calendario di lezioni magistrali  presso il Teatro di Tor Bella Monaca (sale 1 e 2), e un ciclo di incontri di “Automappatura” di spazi e progetti,  nati in seno alle periferie della Capitale, propedeutici alla realizzazione di una “Guida della periferia di Roma”, tenute settimanalmente di mercoledì presso l’istituto scolastico Melissa Bassi in via dell’Archeologia 139.

Sempre presso le aule messe a disposizione dalla scuola si tengono gli incontri sullo stato di avanzamento del progetto artistico promosso dal RIF “ROMO” (Romolo + reMO), gemellaggi tra quartieri del centro e della periferia affidati ad artisti relazionali che di volta in volta proporranno un “dispositivo” per favorire l’incontro tra pezzi di città che spesso non si conoscono e non si frequentano.

Previsti anche interventi e progetti d’arte site specific nel territorio del Municipio VI, a partire dai tre murales previsti per il blocco R8 in largo Ferruccio Mengaroni.

“Il museo – spiega Giorgio de Finis, intervistato dal periodico telematico, ‘’La Rinascita delle Torri – è pensato come un centro studi (e questo forse si troverà comodo nel museo, quando lo avremo) ma anche come un centro di arte contemporanea. L’arte, a differenza dello studio, è libera di cancellare la lavagna, di “ridisegnare” il mondo, per questo credo svolga un ruolo fondamentale. Non possiamo accontentarci di capire come le cose stanno, dobbiamo pensare di poterle trasformare, di migliorarle, anche con voli all’apparenza pindarici (magari passando per la Luna). Guarderemo all’arte da una parte “collezionando” le esperienze che a scala globale ci siano sembrate più originali, inaspettate (per me, concedimelo, è esemplare il MAAM), dall’altra favorendo relazioni, partecipazione, attivazione. Ci saranno anche i muri dipinti».

Per Finis Roma è una città plurale. ‘’Ricordo però – rileva – che il Museo delle periferie è internazionale, anche perché guarda alle periferie del mondo, non è un museo dedicato alla periferia romana. Anche se ovviamente quello che Roma produce sarà valorizzato e  messo in rete, che è quello che abbiamo iniziato a fare con gli incontri di automappatura’’.

«La città – sottolinea il direttore – è la più straordinaria produzione eso-somatica dell’uomo. Come la intendo io, è qualcosa che sempre sfugge alla tua presa e che per definizione non puoi conoscere. Se non è così vivi in un paese. È l’imprevisto, l’incontro con l’altro, che della città è affascinante e mi attrae, il suo essere casa e allo stesso tempo un luogo da attraversare con circospezione. Della città mi piace che non potrò mai considerarla veramente familiare, e che c’è sempre la sorpresa che ti aspetta dietro un angolo. La città, come il viaggio, promette la meraviglia».

Un Museo delle Periferie  ‘’ si chiama così – rileva de Finis – perché vuole prendere questa parola così abusata, stigmatizzante, carica di negatività e guardarla con meno pregiudizi possibili. Studiandola, analizzandola, con l’aiuto di esperti delle più diverse discipline (urbanisti, architetti, antropologi, sociologi, esperti di comunicazione, giornalisti, ma anche registi, rapper, trapper, videoartisti… muralisti), e provenienti dalle più diverse parti del mondo, che anche se è sempre più omologato non è tutto uguale (per questo periferie è al plurale). Studiare le “periferie” per capirne meglio i problemi, ma anche per scoprirne la ricchezza, perché è indubbio che in questi territori (che molti erroneamente chiamano non-luoghi) spesso nascono e si sviluppano le risposte più interessanti. Perché sono luoghi difficili? Dove o ti reinventi o muori? Forse, o forse questi sono già pregiudizi. Quindi, quello che vuole essere anche una provocazione (un museo non solo in periferia, ma che “colleziona” periferie?), un ossimoro (unire il fiore all’occhiello delle città globali in competizione, il museo, che per definizione valorizza le cose belle al “grigio” e alla marginalità che nessuno vuole vedere), ecco che si risolve nella ricerca di esperimenti preziosi e pratiche di cui fare tesoro. E devo dirlo, spesso si tratta di eccezionalità che mettono in gioco le risorse dell’arte».Spesso al MAAM mi è stato detto: “ma non era meglio occuparsi prima delle fogne?”. Forse sì, ma io non sono un ingegnere. E comunque pensare che l’arte e la cultura non siano una priorità vuol dire avere una concezione dell’uomo tutta materiale, economicistica, e funzionale che lo riduce a una caricatura. Oltre a ricordare che i budget sono ripartiti per voci differenti, e che quindi non toglie denari a strade e scuole, penso che un museo possa contribuire anche a tappare le buche…

Quando sono stato invitato dall’architetto Baglivo a partecipare al bando di riqualificazione di Corviale, abbiamo proposto (guarda caso!) un museo, il Corviale Capitolino; magari non a tutti gli abitanti interessava avere sul tetto le vestigia del passato, visto che una rovina contemporanea la abitavano già, ma credo che la presenza del “Galata morente” (la sparo un po’ grossa) a Corviale sarebbe stata sufficiente a deviare i flussi del turismo e quindi, di conseguenza, a avere strade praticabili, linee di autobus e nuove infrastrutture. Lo chiamo giocare di sponda».

 

 

 

 

 

 

 

 

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