Mauro Evangelisti per Il Messaggero Roma
L’Ater, l’azienda delle case popolari di Roma, è stata a un passo dal default, con i conti correnti bloccati e una montagna di debiti che stava seppellendola. Con una lettera inviata da Equitalia la settimana scorsa dalla direzione generale forse la luce in fondo al tunnel si intravede, anche se l’operazione salvataggio è ancora in corso e l’esito non è scontato. Con quella lettera l’Ater chiede la rottamazione delle cartelle esattoriali ricevute nel 2016 a causa dell’Ici non pagata negli anni a Roma Capitale. Meglio di tante parole due cifre spiegano come questo passaggio sia fonda mentale per salvare l’azienda: 550 milioni di euro è la somma che Ater doveva pagare, 285 milioni è quella che realmente salderà se, come appare probabile, Equitalia accetterà la richiesta di rottamazione delle cartelle.
Vale la pena ricordare che conseguenze avrebbero la paralisi dell’Ater determinata dal blocco dei conto correnti (per ora è stata ottenuta una sospensiva, ma la prossima settimana il tribunale civile si pronuncerà sul merito) e, scenario ancora più drammatico, il default. Ater non potrebbe più garantire l’amministrazione, la gestione e la manutenzione dei 47.000 alloggi di sua proprietà. Inoltre, c’è da tutelare la serenità dei 470 dipendenti dell’azienda.
A mettere in pericolo il futuro dell’Ater c’è però quella montagna, i 550 milioni di euro mai pagati negli ultimi quindici anni a Roma Capitale per l’Ici (o Imu) per i quali all’azienda sono arrivate, come a un qualsiasi cittadino non in regola con il versamento delle imposte, cartelle esattoriali extra large. In successione una da 70 milioni di euro, un’altra da 300, che hanno causato un temporaneo blocco dei conti correnti. Lo strumento della rottamazione, al quale il direttore generale dell’Ater, Franco Mazzetto, ha chiesto di aderire con la lettera inviata la settimana scorsa ad Equitalia, consente di evitare il pagamento della parte sanzionatoria e dei relativi interessi.
In sintesi: la cifra scende a 285 milioni di euro da versare in cinque rate, ma con alcuni ostacoli. Le prime due rate (per il 70 per cento del totale) vanno pagate entro quest’anno, le altre tre nel 2018. In sintesi: entro luglio – quando arriverà il primo “bollettino” proprio come a un qualsiasi cittadino, ma con una cifra altissima, circa 100 milioni di euro – Ater dovrà avere la liquidità immediata. Come si fa a trovare 285 milioni di euro in un anno mezzo, tenendo conto che gli appartamenti non possono essere venduti per pagare i debiti ma solo per garantire la manutenzione? Il piano dell’Ater punta su dismissioni che potenzialmente hanno un valore di un miliardo di euro.
Ma «potenzialmente» non significa che tutti quei soldi entreranno realmente nelle casse dell’Ater. La fetta più consistente è quella che riguarda l’alienazione del patrimonio immobiliare di Ater non residenziale, vale a dire negozi e uffici anche in zone di pregio, per un valore calcolato di mezzo miliardo. Già una prima asta pubblica è stata indetta per una prima tranche (valore 22 milioni di euro); per il resto sono in corso delle consultazioni con il settore immobiliare ed è possibile che si ricorra alla formula del fondo in cui conferire gli immobili. Altri 300 milioni sono crediti da riscuotere (anche in questo caso si potrebbe puntare sulla cessione a terzi). Infine, 200 milioni sono rappresentati dalla possibili cessioni di diritti edificatori. Ma perché l’operazione “salvataggio Ater” vada in porto è importante che la richiesta della rottamazione delle cartelle sia accolta da Equitalia.