Riservatezza, autorevolezza, competenza sono i tre pilastri sui quali si è sorretta negli anni una delle principali istituzioni del tessuto economico italiano: la Banca d’Italia.
In tutto il dopoguerra, l’Istituto di Emissione – così veniva chiamato – svolgeva in silenzio i suoi compiti sorvegliando l’andamento del corso dei cambi e della massa monetaria, per controllare l’inflazione e l’andamento della bilancia dei pagamenti, e la salute del sistema bancario, per garantire il miglior flusso di credito all’apparato produttivo e la sicurezza dei depositi dei risparmiatori.
C’era allora un’unica occasione in cui il Governatore si concedeva ad un’apparizione pubblica: il giorno dell’Assemblea, puntualmente il 31 maggio di ogni anno, in cui leggeva le sue Considerazioni finali, poche decine di pagine in cui riassumeva lo stato dell’arte del momento economico-finanziario, lanciando alcuni ammonimenti al sistema politico, soprattutto, circa la direzione in cui muoversi per favorire il migliore sviluppo dell’economia. Ma anche in quell’occasione veniva rimarcata l’assoluta indipendenza dell’istituzione attraverso una rigorosa selezione degli invitati all’assemblea, che escludeva tassativamente la presenza di esponenti del Governo.
Era la Banca d’Italia di Menichella, di Carli, di Baffi, intorno alla quale aleggiava un’aria sacerdotale. Sarebbe stato semplicemente impensabile, allora, che in Parlamento fosse presentata una mozione riguardante l’operato della Banca e ancor meno, che tale mozione riguardasse, in qualche maniera, la successione del Governatore, il cui mandato, peraltro, all’epoca era a vita.
C’è dunque una prima questione che emerge dalla mozione del PD approvata dal Parlamento, che riguarda proprio i rapporti tra le istituzioni. Una volta di più, se mai ve ne fosse bisogno, si è assistito ad uno straripamento di competenze. Il Parlamento è infatti estraneo al processo di nomina del Governatore che spetta al Governo ed in finale al Presidente della Repubblica, che, infatti, non ha fatto mancare una sua precisa presa di posizione.
È pur vero che è difficile lamentare un eccesso del Parlamento, quando le altre istituzioni, a cominciare dalla Magistratura e a finire con la stessa Presidenza della Repubblica, hanno assunto negli anni iniziative spesso eccedenti alle proprie prerogative, forzando di fatto il delicato meccanismo di equilibrio tra i poteri costituzionali. Per di più la Banca d’Italia ha progressivamente lasciato sfarinare quei pilastri sui cui si fondava.
E qui emerge la seconda questione, quella relativa all’attività di vigilanza sul sistema bancario. Proprio a questa attività il sistema politico è più attenta per le inevitabili connessioni che legano banche e politica.
Non è un caso che il più tumultuoso evento affrontato dalla Banca sia stato proprio determinato dalla sua attività di vigilanza, quando il Governatore Paolo Baffi, impegnato nel rafforzamento del controllo del sistema bancario, venne paradossalmente messo sotto inchiesta, con il suo Vice Direttore Generale, Mario Sarcinelli, accusato proprio del mancato esercizio di controllo. Sarcinelli venne anche arrestato e Baffi, che fu poi integralmente prosciolto, preferì dimettersi.
Da allora la vigilanza venne esercitata dalla Banca d’Italia in maniera, per così dire, soft, ricorrendo soprattutto al sistema della “moral suasion”, intervenendo cioè sui vertici bancari, consigliando loro i necessari accorpamenti e salvataggi delle aziende più deboli ed esposte. Un sistema che però presentava parecchie controindicazioni, dal momento che lasciava aperto il dubbio che, dietro le soluzioni trovate, ci potessero essere rapporti non del tutto trasparenti.
Ed è sull’onda di questi dubbi che, nel dicembre 2005, il Governatore Antonio Fazio, messo sotto inchiesta, si dimise.
Anche oggi, alla base della mozione, c’è il dubbio che la vigilanza dell’attuale Governatore non sia stata all’altezza della situazione nell’affrontare la profonda crisi che ha investito in questi ultimi anni il sistema bancario. E verrebbe da dire che la mozione del Pd non ci sarebbe stata se Ignazio Visco avesse seguito l’esempio di Baffi, dimettendosi. Visto che, sia pure in circostanze diverse, da tempo viene messa in dubbio l’adeguatezza della suo ‘’governatorato’’. D’altronde la stessa Banca d’Italia di oggi non è più quella di Menichella e di Carli, è più vulnerabile ed è stata privata di tutte le competenze sulla moneta, passate alla banca centrale europea, cosicché la politica ritiene probabilmente di poter occupare maggiori spazi. Ma è pur vero che la guerra, se di guerra si tratta, vedrà difficilmente un vincitore, perché ormai anche la vigilanza, tranne per quote residuali, è già tutta in ambito europeo.