La fase 2 all’insegna del cornetto incartato sotto braccio e dell’espresso in bicchierino di carta: il caffè d’asporto, bevuto gelosamente fuori dai bar oppure appena rientrati a casa o in ufficio è il primo simbolo della ripartenza.
Il Dpcm dello scorso 26 aprile ha stabilito che da ieri, 4 maggio, bar e ristoranti possono ricominciare a servire i loro clienti, ma solo in modalità asporto: nei negozi si può vendere ma non consumare.
Nella Capitale, dal centro alla periferia, la maggior parte dei bar – quelli a gestione familiare così come i grandi caffè – hanno tirato di nuovo su le serrande. Lo stesso non hanno fatto la maggioranza dei ristoratori che, dopo aver fatto due conti, hanno optato per attendere il primo giugno quando, almeno in teoria, potranno riaprire per davvero.











Da Antonini, storico caffè di Prati – azienda da 60 dipendenti, con una gestione manageriale – il servizio non si è mai interrotto. “Con il delivey abbiamo fatto 35-40 consegne ogni giorno”, spiega il general manager. Adesso, con due tavoli disposti appena fuori agli ingressi del locale con gel igenizzante in bella mostra, è possibile anche ordinare a portar via. “In questo modo evitiamo l’ingresso nel negozio e possiamo dividere in due file i clienti: chi viene a ritirare ordini e chi prende qualcosa direttamente qui”, spiega il general manager appagato della risposta del quartiere. “Questa mattina abbiamo sfornato 250 cornetti, ma non abbiamo soddisfatto la clientela: sono venute molte più persone”. Nonostante la novità, poi, si tratta comunque di un tentativo di copertura dei costi, in particolare dell’affitto. Tutti e 60 i dipendenti sono in cassa integrazione, solo una decina ne usufruiscono parzialemente: divisi in turni preparano le consegne a domicilio e, adesso, anche il servizio d’asporto. “Con la novità di oggi abbiamo portato altri tre dipendenti a regime parziale”, spiega.
Coprire i costi, in particolare gli affitti dei locali, è praticamente l’obiettivo di tutte le attività che hanno riaperto: con dipendenti in cassa integrazione e titolari da soli al lavoro. Anche da Otaleg, gelateria di Trastevere, un passo da piazza San Cosimato, i due soci che possiedono la gelateria gestiscono laboratorio, servizio di consegna e domicilio e asporto, con i sei dipendenti tutti in cassa integrazione. “Facciamo anche 50 consegne nei fine settimana, ma lo facciamo per evitare il fallimento e poter ripartire una volta finita l’emergenza”, dicono.
Nella maggior parte dei bar si lavora servendo direttamente fuori bevade e cibi in scatole e contenitori, ma non mancano i casi di chi, avendo due ingressi, ne ha adibito uno a entrata e uno a uscita, facendo accedere i clienti uno alla volta. Anche nella ristorazione chi già si appoggiava a piattaforme di consegna a domicilio ha riaperto anche per la vendita d’asporto. Si tratta principalmente di pizzerie, paninoteche e fast food, ma con la novità anche qualche ristorante ha deciso di tentare. Non in centro dove l’assenza dei turisti e i pochi residenti rende troppo bassi i margini di profitto rispetto ai costi, maggiori per un ristorante rispetto a quelli di un bar. Gerardo Nardiello, titolare del ristorante da Luigi, su piazza Sforza Cesarini, pittoresco slargo di corso vittorio Emanuele, lavora davanti al suo locale, ma non ha alcuna intenzione di riaprire per l’asporto. “Che siamo matti – dice – non rientreremmo mai dei costi… attendiamo il primo giugno, o speriamo prima”.
Nardiello, preoccupato anche dall’assenza dei turisti che perdurerà anche dopo la vera e propria riapertura, conta sulla possibilità di maggiore occupazione di suolo pubblico: “La Raggi ha detto che potremmo utilizzare il 35 per cento dello spazio, è un provvedimento vitale perché dentro l’attività sarà impossibile”.
Nei quartieri residenziali invece c’è chi prova la riapertura. Alla Balduina ad esempio c’è Ferro Burger, ristorante specializzato in hamburger gourmet, chiuso fino ad oggi, ma che da giorni con cartelli e lavagne segnala la data: “Il 4 maggio vieni a prendere la tua cena d’asporto”. “Vogliamo provarci, la gente è in casa ma ha voglia di andare al ristorante e in questa zona vivono molte persone che abbiamo invitato a venire a prendere un buon hamburger o un piatto di pasta, per noi vale la pena tentare”, dice Daniele Mazzanti, titolare del ristorante.
Ma anche a un passo dal Vaticano, quartiere Borgo Pio, c’è chi si prepara. Mirko Spalla, proprietario di Porto Castello ristorante dell’omonima piazza di borgo Pio, riaprirà mercoledì. “Stiamo rifornendo frigo e dispensa e poi partiamo, il personale è tutto in cassa integrazione , quindi ci occuperemo di tutto io e mio padre, poi vediamo come va, se serve faremo tornare qualcuno”. Perché questa scelta? “Abbiamo una clientela di affezionati che anche per messaggio ci ha chiesto di farlo”.