Demografia d’Impresa: aggiornamento

Cosa significa e quanto pesa l'indice di natalità e di mortalità delle varie imprese letto con gli occhi di oggi

Ci sono dati che a seconda di come vengono letti danno una descrizione dell’essenza e di come si stia vivendo un determinato evento.

La natalità e la mortalità delle imprese, data dalle iscrizioni e cessazioni al registro delle imprese è un indice che se positivo, ovviamente, rasserena e mette tutti tranquilli.

Ma molte certezze si sono perse nel nulla perché a causa della crisi da pandemia Covid i dati non sono solo fortemente segnati dall’andamento dal mercato, ma vengono alterati anche dalle restrizioni e dalle imposizioni dello stato d’emergenza che l’Italia, unica in Europa, è stato prorogato dal Governo sino al 15 ottobre. Una scadenza pesante che ci farà stare con il fiato sospeso in ambito economico e politico.

Intanto il New York Times elogia l’Italia perché “Le autorità italiane hanno deciso di anteporre le vite all’economia”. Noi, nel frattempo, elogiamo gli Stati Uniti per l’ingente aiuto in dollari a fondo perduto dato a ciascuna impresa USA, in tempi brevissimi e con una semplificazione burocratica che mai si vedrà da noi.

Il tutto mentre il dato della demografia d’impresa a livello nazionale in Italia porta ad un bilancio positivo tra aperture e chiusure nel secondo trimestre di quest’anno (2020) con un aumento di +19.855 unità contro +29.227 del 2019 .

In una panoramica nazionale il Sud detiene quasi la metà del saldo attivo. E’ chiaro che la voglia di fare impresa degli italiani tra aprile e giugno s sia indebolita fino a toccare un -37% (57.922 iscrizioni di nuove imprese contro le 92.150 del secondo trimestre 2019).

Sin dall’inizio dell’articolo abbiamo sottolineato che il punto focale è: come va letto ed interpretato il dato in questa situazione pandemica.

Frenano, infatti, le cancellazioni che si attestano a 38.067 del primo trimestre 2020 rispetto alle 62.923 dell’anno precedente, con un 39,5% in meno. Va evidenziato che il settore dell’artigianato ha chiuso il periodo con un saldo attivo di 6.456 imprese (18.943 le iscrizioni di nuove imprese contro 12.487 cessazioni).

Il saldo attivo si riscontra in tutte le regioni d’Italia. La regione Campania registra il valore più elevato chiudendo il trimestre con 3.143 imprese in più rispetto al 31 marzo scorso. Segue la regione Lazio (+2.386), Lombardia (+1.920) e Puglia (+1.859). Ancora il Lazio per le imprese artigiane, registra il saldo più elevato tra aperture e chiusure: 1.257 unità. In Campania (+914), Lombardia (+570) e Puglia (+562) gli altri risultati migliori.

Questo è quanto emerge dall’analisi trimestrale Movimprese, condotta da Unioncamere e InfoCamere, sui dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio, disponibile all’indirizzo www.infocamere.it/Movimprese.

Le cessazioni stentano a riallinearsi sui volumi fisiologici del trimestre ma, il Vicepresidente di Unioncamere nazionale e Componente Giunta Esecutiva Confartigianato Imprese Nazionale, con incarico Semplificazione e Camere di Commercio, Mario Pozza avverte che sono dati che vanno commentati con tutte le prudenze del caso perché devono essere contestualizzati nelle ordinanze e nei dcpm del governo: “Con questa asimmetria dei flussi, non mi precipiterei a dire che abbiamo segnali di tenuta – sostiene Pozza – visto il contesto. Semmai qui si può realisticamente ipotizzare che una quota parte delle minori cessazioni dipenda da alcuni fattori dissuasivi alla chiusura d’impresa: su tutti, i vincoli legati alle procedure di scioglimento ove comportino licenziamenti; inoltre, con riferimento alla micro impresa senza dipendenti, anche l’accesso ai sussidi può essere un motivo che induce l’imprenditore a prendere tempo, prima di chiudere, per capire se miglioreranno le condizioni di mercato – conclude Mario Pozza.

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