Le aziende del distretto della ceramica di Civita Castellana sono tornate ai livelli prepandemia, ma ora sui conti pesano materie prime e bollette dell’elettricità. E’ quanto riporta ‘’La Repubblica’’ che dedica un ampio articolo sul settore a nord della Capitale.
Riprende a correre dopo il lockdown il distretto di Civita Castellana, uno dei pezzi da novanta dell’industria laziale: sanitari in ceramica e accessori da bagno prodotti da un distretto di 28 aziende che vantano marchi esportati in tutto il mondo come Flaminia, Simas, Kerasan, Teda, Catalano.
Lungo il fiume Treja e tra i boschi di Nepi, Fabrica e Civita Castellana ci sono in tutto 36 stabilimenti di produzione dai quali nel 2020, anno del lockdown, sono usciti 2,6 milioni di sanitari come wc, lavabi, bidet, vasche e altri accessori: adesso il distretto è tornato ai livelli precedenti il Covid, quando il fatturato medio superava i 300 milioni con una produzione media di 3 milioni di arredi.
Il segreto della ripartenza è l’export che, secondo i dati dalla direzione Studi e Ricerche della banca Intesa San paolo, da gennaio a ottobre del 2021 ha fatto registrare un valore di 85 milioni con una crescita del 15% rispetto al 2020 e del 6%sul 2019, anno pre-Covid.
In spolvero soprattutto il terzo trimestre che segna un aumento del 6,5%. Il bilancio dell’ultimo trimestre 2021 è ancora da chiudere ma è in linea con i primi nove mesi dell’anno e secondo gli imprenditori il 2021 si chiuderà con un fatturato annuo totale di almeno 310 milioni di cui la metà grazie alle vendite all’estero.
Del resto il lockdown ha aperto nuovi spazi: fra i mercati emergenti, in base a dati Eurostat, spiccano la Grecia con quasi 500 tonnellate di accessori venduti rispetto alle 323 del 2020 (+40%), la Bulgaria con 1302 (+68%), l’Albania con 460, +40% rispetto al 2020. Calano invece i mercati tradizionali come Gran Bretagna (-27%), Olanda (-12%), Belgio (-8%).
Una sfida che finora può dirsi vinta da un distretto industriale che da lavoro a 3mila dipendenti, conta un indotto di almeno 70 aziende artigiane vanta origini antichissime, precedenti alla fondazione di Roma: furono i Falisci, popolo preromanico, a iniziare prima del V secolo a.C. la produzione di vasellame in ceramica lungo il fiume Treja grazie alla presenza di cave di caolino e argilla.
Negli ultimi anni le aziende di Civita hanno affrontato globalizzazione e pandemia puntando su design, qualità, export e mercati emergenti. Scommesse fin qui vinte, a giudicare dai numeri. Ma una spada di Damocle incombe sul fiume Treja: è l’aumento del costo delle materie prima tra cui argilla, quarzo e feldspato.
Ma soprattutto a schizzare alle stelle sono i costi per l’energia elettrica e il gas metano, fondamentale per produrre arredi in ceramica. Il problema è nazionale: secondo Confìndustria i costi di produzione per le imprese saranno di 37 miliardi nel 2022 contro gli 8 del 2019. Ma in particolare per le fabbriche di Civita l’aumento sarà di oltre il 500%. “A gennaio 2021 pagavamo 18 centesimi al metro cubo di gas metano: a dicembre siamo arrivati a 1 euro”, spiega a “La Repubblica” Augusto Ciarrocchi vicepresidente di Confindustria Ceramica e numero uno della Flaminia spa, tra le principali aziende del distretto di Civita.
“Stiamo correndo ai ripari spalmando il costo per i prossimi anni – continua – comunque pagheremo il triplo rispetto ai 18 centesimi di inizio 2020. Il momento è favorevole, la richiesta è alta all’estero e in Italia ma se l’energia aumenta saremo esposti alla concorrenza di aziende di altri paesi dove l’energia costa di meno”.
Il momento è delicato e Confindustria ha avviato una trattativa con il governo per calmierare il prezzo delle materie prime. Anche perché è già aumentato il costo delle forniture: «Impasto e smalto per produrre la ceramica sono aumentati del 10% nell’ultimo mese – spiega Stefania Palamides generai manager di Teda, azienda che produce lavabi con un fatturato medio di 4 milioni e 45 dipendenti – ciò si riflette sul prezzo finale di vendita e perdiamo competitività. Sul piano degli ordinativi sembra tutto normale, ma non possiamo prevedere cosa succederà in futuro nei prossimi mesi».