L’inflazione non “è ancora vinta” e gli ultimi dati su prezzi e andamento dell’economia supportano l’annunciato nuovo aumento dei tassi previsto per la riunione del 16 marzo che li porterà al 3,5%. La presidente della Bce Christine Lagarde, in un’intervista a media spagnoli, giudica “molto, molto probabile” la nuova stretta e non si sbilancia sul quando Francoforte allenterà la presa (il mercato stima un picco fino al 4% entro l’anno) ma chiede uno sforzo a banche e governi per mitigare gli impatti di prezzi ancora elevati e rate dei mutui variabili in decisa crescita. Non sembrano avere effetti, per ora, gli appelli di quella parte del consiglio, fra cui il governatore della banca d’Italia Ignazio Visco, a valutare in egual misura i rischi inflattivi e quelli di effetti sull’economia sebbene lo stesso governatore ripeta sempre, come la presidente, che le decisioni devono essere guidate dai dati.
“Molti governatori delle banche centrali stanno diffondendo le loro opinioni e analisi personali, come presidente della Bce io devo focalizzarmi” sui dati, rileva dal canto suo Lagarde. Il mercato, da Goldman Sachs a Bank of America, scommette così su un rialzo dei tassi fino al 4% alla fine di quest’anno anche perchè negli otto mesi di sforzi, la Bce non è ancora riuscita a riportarla sotto controllo. E se il pil dell’eurozona, malgrado gli effetti della crisi Ucraina e del caro energia, sembra rallentare ma non cedere, effetti consistenti si abbattono su alcune fasce della popolazione. La Bce e le banche centrali hanno più volte chiesto ai governi “misure mirate” e temporanee per i soggetti più deboli senza però ‘agganciare’ in automatico pensioni e retribuzioni all’indice dei prezzi. La Lagarde ha ammonito ancora una volta che questo “nel passato ha generalmente contribuito ad alimentare l’imnflazione che è poi finita fuori controllo”.
Un mantra ripetuto anche da Visco che, più volte, ha parlato di rischi di “spirale salari-prezzi”, ben conosciuta nel nostro paese. E poi c’è il tema dei mutui. Il presidente Bce chiede alle banche uno sforzo nel loro stesso interesse e non “per beneficienza” nel rinegoziare i prestiti. Si eviterebbe così di mettere in difficoltà i loro debitori e di dover poi iscrivere a bilancio i crediti deteriorati. Nel nostro paese sui 426 miliardi di stock dei mutui, fortunatamente, quelli a tasso variabile sono una minoranza (il 40% a settembre 2022) e molti presentano un tetto massimo, cap. E però chi non ha voluto o potuto rinegoziarlo sta affrontando un amento del costo della rata pesante che, in un anno, può aver raggiunto i 200 euro. La crescita dei tassi peraltro sta scoraggiando molte famiglie a minor reddito a chiedere i prestiti, restringendo così il mercato immobiliare che, come dimostra l’ultimo sondaggio della Banca d’Italia, è improntato a “prospettive sfavorevoli”.