Articolo uscito sul secondo numero della newsletter “Osservatorio sulla Capitale”
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Il turismo a Roma sembra quasi statico, a leggere i dati. Erano 10 milioni 524 mila gli arrivi negli esercizi alberghieri nel 2010, con 26 milioni 527 mila presenze. Cinque anni dopo gli arrivi sono stati 11 milioni 298 mila (800 mila in più) ma le presenze complessive sono addirittura leggermente diminuite: 26 milioni 420 mila. In cinque anni gli hotel sono cresciuti complessivamente di sole 57 unità, le camere di 2.500 unità e i letti di poco più di 5 mila unità; questi ultimi erano 94 mila nel 2010, alla fine del 2015 erano poco meno di 100mila.
Albergatori per caso
Staticità, per quanto riguarda l’offerta alberghiera, è la parola giusta. Davvero poco per una città d’arte fra le più importanti, se non la più importante, al mondo. Eppure questi dati non dicono tutto. Non dicono, ad esempio, che in questo lasso di tempo gli alloggi “sostitutivi” degli alberghi sono aumentati a ritmi esponenziali: erano in Italia 2.141 nel 2010, alla fine del 2015 erano 176.870. Nella sola Roma se ne contano – secondo le ricerche fatte da Incipit/Federalberghi – 18.546. Il che significa che oggi (o per meglio dire nel 2015, ultimi dati disponibili) gli alloggi extralberghieri – ipotizzando che ciascuno di essi abbia almeno un paio di stanze per almeno 4 persone – possono ospitare quasi tanti clienti quanti gli alberghi, che arrivano a circa 100mila unità. Ed è possibile che in questo ultimo anno e mezzo i letti dei “bed and breakfast” abbiano già raggiunto quelli degli alberghi.
Una massa di albergatori-non albergatori, quali sono quelli che a vario titolo sono catalogati come “bed and breakfast”, case vacanze e similari, hanno già la stessa capacità di ospitalità di un sistema alberghiero costruito a poco a poco nel corso di decenni, e in qualche caso di secoli.
Un turista su due accolto in strutture alternative
Una trasformazione epocale, avvenuta in una manciata di anni: di fatto un cliente su due (e questa percentuale cresce di giorno in giorno) finisce in un bed and breakfast. Ma di queste strutture sappiamo poco o nulla. Ce ne sono di gran qualità ma anche di molto modeste. Per queste strutture le leggi sono abbastanza vaghe e non c’è un ente provinciale o un’azienda autonoma che le controlli (almeno di fatto) come controlla gli alberghi. Così gli standard ricettivi sono imprecisati e imprevedibili.
Il che significa che nella Capitale, nella Grande Bellezza, un luogo dove si nascondono le maggiori opere d’arte del genio umano, una massa di persone, molte delle quali straniere, si affida a pseudo-albergatori improvvisati, senza cultura professionale, di solito famiglie alla ricerca di comode aggiunte ai redditi. Con la possibilità che uno dei tanti ricordi di un viaggio a Roma, che molti turisti fanno una volta nella vita, sia una casa sporca o mal gestita.
Falsate le regole della concorrenza
Ma è anche vero che molti di questi bed and breakfast sono tali soltanto sulla carta. È stata sempre Federalberghi a mostrare che ci sono “host” che possiedono centinaia di alloggi: “Daniel gestisce 527 alloggi, Bettina 420, di cui 140 a Milano, 80 a Roma e 88 a Firenze”, ha denunciato il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, che pone con tutta evidenza un problema di evasione fiscale e di concorrenza sleale verso gli albergatori con tanto di licenza.
È la sharing economy, bellezza, potrebbe dire qualcuno. Ovvero l’economia della condivisione in cui tutti affittano i propri beni a chiunque e possono improvvisarsi anche albergatori oltre che noleggiatori di auto e altro. Sarà così, ma – a parte l’evasione fiscale e il venir meno di una base di sicurezza per i clienti (ci sono gli estintori, sono rispettate le norme antincendio, ci sono delle scale secondarie per la fuga?), dovuta a strutture che di fatto non sono oggetto di alcun controllo (e diciamo la verità: la vigilanza è già carente nelle strutture regolari) – il problema per la Capitale è che non sa più dove si dirigono i turisti e non ne governa i flussi. In queste condizioni non c’è né può esserci una politica del turismo tesa a migliorare l’esperienza degli stessi turisti e a rendere più ordinato lo svolgersi delle attività correlate. Resta soltanto un imprevedibile affastellarsi di strutture ricettive alla meno peggio.
Una domanda sempre più qualitativa muta il mercato
Eppure di cosa stia avvenendo nel mercato – che trova sempre il suo equilibrio – qualcosa sappiamo, se andiamo a scrutare i dati nudi e crudi degli alberghi a Roma. Ad esempio, vediamo che in soli cinque anni, dal 2010 al 2015 – alcune categorie alberghiere hanno perso clienti e strutture. A perdere sono stati gli hotel a una e a due stelle. Quelli a una stella sono passati da 127 a 97, le loro camere sono diminuite da 1.542 a 1.055 e le loro stanze da 2.857 a 1.985. Marcato anche il crollo dei due stelle: da 214 strutture sono passate nello stesso lasso di tempo a 180, le camere da 4.153 a 3.271, i letti da 8.184 a6.425.
Al contrario, si è vista una crescita delle strutture a quattro e cinque stelle, segno di quello che viene chiamato fin gergo fly-to-quality, ovvero lo spostamento dei gusti delle persone verso strutture qualitativamente migliori. I quattro stelle sono aumentati da 231 a 290, le loro camere da 24.440 a 27.011, i loro letti da 49.821 a 54.460. I cinque stelle sono cresciuti da 26 a 36, le loro camere da 3.638 a 4.134 e i loro letti da 7.746.
La corsa ai “quattro stelle”
Le conclusioni da trarre da ciò che sta accadendo sul mercato sono abbastanza evidenti. I clienti, soprattutto gli stranieri (così viene segnalato dai dati di Federalberghi) preferiscono strutture a più alto livello. I tre stelle hanno continuato a crescere ma poco e probabilmente, in mancanza di alberghi a quattro e cinque stelle, molti clienti hanno dovuto downgradarsi non trovando sul mercato quello che avrebbero voluto. Se guardiamo alle percentuali di incremento, vediamo che le camere dei tre stelle sono salite soltanto dell’8 per cento, mentre quelle dei cinque stelle (strutture assai più care) di oltre il 10 per cento. Mentre le stanze dei quattro stelle hanno avuto un incremento del 9 per cento abbondante. I quattro stelle sono particolarmente importanti perché svolgono un duplice ruolo: durante la settimana possono ospitare il turismo d’affari e nei fine settimana si trasformano facilmente in strutture per le famiglie e i turisti per diporto.
Su quello che è accaduto ai due e tre stelle si possono fare solo supposizioni. Una parte di loro può aver chiuso non potendo sopportare la concorrenza dei bed and breakfast (non dimentichiamo che queste ultime sono abitazioni vere e proprie, dotate di cucina e di servizi, per contro gli hotel a una o due stelle hanno normalmente spazi interni risicati). Un’altra parte, ricorrendone le condizioni strutturali, potrebbe anche aver deciso di trasformarsi in bed and breakfast uscendo dalla regolarità anche fiscale. Un’altra parte ancora potrebbe aver deciso di trasformarsi in tre stelle.
Sì alla “sharing economy”, ma occorre governarla
Alla fine della giostra, si possono trarre delle indicazioni per gli amministratori della città, Comune e Regione in primo luogo.
1. Visto che le preferenza dei clienti vanno soprattutto ai quattro e cinque stelle, occorrerebbe agevolare le concessioni di questo tipo, sveltendone anche i passaggi burocratici. Oggi, in condizioni ottimali, ci vorrebbero almeno quattro anni per tirar su un albergo dal nulla o, in una città come Roma, per identificare un immobile già costruito, ottenere i permessi per il cambio di destinazione d’uso e ristrutturarlo. Queste condizioni ottimali, però, nella Capitale semplicemente non esistono e si rischia così di allungare a dismisura i tempi di realizzazione di nuove strutture.
2. Non si può fermare la sharing economy ma è pur vero che in altre città del mondo, tipo San Francisco o New York, la legislazione per i bed and breakfast è già più severa. Soprattutto sono da identificare per tutte le strutture standard minimi di sicurezza che vanno poi controllati periodicamente. Controlli fiscali più serrati sono necessari per far fronte alla montagna di evasione che danneggia la Capitale e il paese, oltre che gli albergatori regolari, che giustamente si lamentano per la concorrenza sleale.
3. Se non si vuole che il centro storico si trasformi in una gigantesca fiera di bed and breakfast, perdendo la varietà sociale che ancora esiste (i proprietari di case stanno già espellendo gli affittuari verso altre aree dove non tirano i bed and breakfast), l’amministrazione capitolina dovrebbe porsi il problema della gigantesca metamorfosi urbanistica e sociale in atto. Trovare dei rimedi può non essere facile ma non provarci nemmeno e addirittura nemmeno porsi il problema sicuramente creerà danni irreparabili.