Come era stato ampiamente previsto dai sondaggi elettorali, il voto anticipato per eleggere il nuovo Parlamento ha dato un’ampia maggioranza al centrodestra sia al Senato che alla Camera ed anche una chiara indicazione su chi prenderà l’eredità di Mario Draghi a Palazzo Chigi: Giorgia Meloni. In base ai risultati conseguiti, con Fratelli d’Italia che da solo rappresenta più della metà della coalizione vincente, forse da oggi in poi non dovremmo più parlare o scrivere di centrodestra ma di destra-centro.
Nel nuovo Parlamento, con 200 senatori (per la verità sono 206 perché agli eletti bisogna aggiungere i sei senatori a vita, ovvero Giorgio Napolitano, Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia e Liliana Segre) e 400 deputati, avremo dunque 113 senatori eletti sotto le insegne di FdI, Lega, Fi e Noi Moderati, il che significa una chiara maggioranza a Palazzo Madama, e 235 deputati della stessa coalizione a Montecitorio, dove la maggioranza è ancora più ampia rispetto a quota 201. Però la composizione dei nuovi gruppi della destra-centro non rappresenterà esattamente i voti raccolti nelle urne.
Infatti, in base agli accordi pre-elettorali raggiunti da Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, sia la Lega che Forza Italia avranno più rappresentanti di quelli che avrebbero avuto in base al voto di domenica. Alla Camera, infatti, rispetto ai 118 deputati di FdI i partiti centristi della coalizione hanno ottenuto 117 seggi (65 la Lega, 45 FI e 7 Noi Moderati). Al Senato, invece, la quasi parità non è stata raggiunta perché ai 66 eletti dalla Meloni i centristi rispondono con 47 parlamentari (26 il Carroccio, 19 Forza Italia e 2 a Noi Moderati).
Comunque, un dato è certo. Fermo restando che è il presidente della Repubblica che nomina il presidente del Consiglio, Sergio Mattarella non potrà non ascoltare le indicazioni che verranno, quando saranno chiamati al Quirinale nel quadro delle consultazioni, i tre big della destra-centro, ovvero la designazione di Giorgia Meloni per Palazzo Chigi. Avremo quindi per la prima volta dal dopoguerra non solo un presidente del Consiglio espressione della destra, ma anche una donna alla guida del nuovo governo.
Analizzando le altre forze politiche, anche il M5S di Giuseppe Conte può cantare vittoria. È vero che i Cinquestelle hanno più che dimezzato il risultato ottenuto nel 2018 (34% allora, poco più del 15 per cento oggi), ma quasi tutti i commentatori politici prevedevano un loro crollo, addirittura a livello 10%. Puntando fortemente su reddito di cittadinanza e superbonus (Matteo Renzi ha addirittura accusato Conte di “voto di scambio”), l’ex premier è riuscito a far risalire la china al Movimento ed a farne il primo partito del Sud.
A mezza strada tra vincitori e vinti si può collocare il Terzo Polo di Carlo Calenda. Non è riuscito a raggiungere il 10 per cento dei voti ed a superare Fi, ma anche il quasi 8% ottenuto potrebbe essere un buon viatico per il futuro, sempre che la coabitazione con Renzi continui.
Il vero sconfitto di queste elezioni è stato il Pd di Enrico Letta che esce fortemente ridimensionato dal voto elettorale. Al Nazareno si sapeva che si sarebbe perso quasi certamente, ma una batosta così non se l’aspettavano. Dal “campo largo” propugnato da Letta, l’unico che poteva contrastare veramente il successo della Meloni, il Pd si è trovato ad operare in un “campo stretto” dopo la rottura con il M5S e l’abbandono di Calenda dell’alleanza appena stipulata con il Partito Democratico. Il fallimento della sua operazione politica ha portato Letta ad annunciare che stringerà i tempi per tenere il congresso del partito (inizialmente previsto per marzo 2023) al più presto e che non presenterà la sua candidatura per la leadership del Pd.
Un’ultima annotazione, sempre a marzo si dovrebbero tenere le elezioni anticipate per il rinnovo del Consiglio regionale del Lazio. In base al voto politico di domenica, c’è il forte rischio che anche questa regione possa essere conquistata dalla destra-centro. Ne parleremo.