Nelle zone più popolari e popolose si sa che il voto può diventare decisivo. E' qui che bisogna convincere l'elettorato. Ma oltre a marcare il territorio, lontano dal centro, quanto c'è di sociale nei programmi dei quattro principali candidati alla poltrona di sindaco di Roma?
Da Tor Bella Monaca al Tufello, da Ponte di Nona a San Basilio: i candidati sindaco alle amministrative romane puntano sulle periferie. I quartieri oltre le mura sono diventati il set delle iniziative di campagna elettorale. Non a caso i big della destra, Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno deciso di chiudere la campagna per Michetti sindaco a Spinaceto. Mentre Enrico Letta ha fatto il suo endorsement a Roberto Gualtieri a Primavalle.
Nelle zone più popolari e popolose si sa che il voto può diventare decisivo. E’ qui che bisogna convincere l’elettorato. Ma oltre a marcare il territorio, lontano dal centro, quanto c’è di sociale nei programmi dei quattro principali candidati alla poltrona di Sindaco di Roma? Ad un’analisi dei programmi e dei discorsi molta poca attenzione è dedicata alle persone in situazione di marginalità, ai fragili, ma anche all’annosa questione delle politiche abitative della capitale. Molti slogan, qualche rigo nei discorsi omnicomprensivi, poco di concreto. Eppure, da Michetti a Calenda, da Gualtieri a Raggi, tutti hanno in queste settimane di campagna elettorale avvicinato alcune delle realtà che sul territorio si occupano di terzo settore.
La lista più vicina alle istanze che arrivano dal mondo del sociale è quella di Roberto Gualtieri, sostenuto da una serie di nomi e liste più piccole che provengono dal volontariato e dall’attivismo. Basti pensare alla lista Demos – Democrazia solidale guidata da Paolo Ciani, esponente della Comunità di Sant’Egidio, che presenta come candidati cittadini provenienti da 18 paesi diversi.
O a Roma Futura guidata da Giovanni Caudo, presidente del III municipio, una lista “civica, ecologista, femminista e di sinistra”. E che propone tra i canditati al consiglio comunale esponenti dell’attivismo lgbtqi+ e ambientalista. In generale, stando agli obiettivi del programma di Roberto Gualtieri l’idea è quella di un “città che riparte dal basso”, in cui società civile e terzo settore, siano valorizzati e non “osteggiati come nella precedente Giunta”, si puntualizza.
Si promette un investimento massiccio sui servizi sociali e un rafforzamento dei servizi municipali di assistenza domiciliare. Si prevedono poi piani di co-housing e progetti di vita indipendente per le persone con disabilità. Gualtieri promette anche una nuova “Agenzia per le politiche abitative” con l’obiettivo di “favorire l’accesso al mutuo per la prima casa per giovani e famiglie meno abbienti, gestire progetti innovativi per l’edilizia residenziale pubblica ed il social housing”.
A tenere i rapporti col terzo settore della lista Michetti è, invece, la candidata pro sindaco Simonetta Matone, che è stata per 17 anni pubblico ministero al Tribunale per i minorenni.
Un’esperienza che, sottolinea spesso, le ha consentito di capire i problemi delle famiglie, in particolare di quelle che vivono ai margini. Nel programma della lista di destra il tema della famiglia ricorre, con particolare attenzione ai nuclei più numerosi, che “avranno accesso al welfare e sosterranno tutte le tasse e tariffe comunali secondo il principio per cui più persone vivono con un solo reddito, meno sono le tasse che dovranno pagare”. Si parla anche di un incremento dei servizi dell’infanzia e di un’attenzione alla disabilità: “Assicureremo alle tremila famiglie romane in cui sono presenti componenti con forme di disabilità grave: un contributo per la cura e il sostegno; percorsi programmati di accompagnamento per agevolare l’uscita dal nucleo familiare dei cittadini con disabilità”, scrive Michetti. Nel programma si sottolinea inoltre la priorità che dovranno avere i residenti: “privilegeremo con un punteggio aggiuntivo l’accesso ai servizi sociali del Comune a chi vive stabilmente nella città metropolitana di Roma da almeno 5 anni, a prescindere dalla sua nazionalità”. Per quanto riguarda l’immigrazione “le strutture temporanee per l’accoglienza saranno allestite esclusivamente nei territori dove non ci sono condizioni di emergenza abitativa” si legge. Più difficile appare il compito di Virginia Raggi di recuperare il rapporto con le realtà del terzo settore che operano a Roma.
In questi anni tante associazioni hanno espresso, anche pubblicamente, la mancanza di un’interlocuzione reale con l’amministrazione capitolina. Un dialogo e un coordinamento che sono mancati anche nel periodo dell’emergenza sanitaria, durante il quale tante realtà si sono mosse per non lasciare indietro i più fragili. Di fatto esercitando un ruolo di supplenza rispetto ai servizi messi a disposizione dal Comune, a cominciare dalla costante mancanza di posti letto e strutture a disposizione per l’accoglienza di migranti e senza dimora. Per questo non sono mancate le critiche sul programma presentato dalla sindaca uscente che propone di proseguire la coprogettazione con il terzo settore. In realtà Raggi punta di più su temi come la mobilità sostenibile e l’ambiente. Sul piano dell’emergenza abitativa la sindaca rivendica le “Linee guida del Programma Strategico per il superamento della condizione di disagio abitativo” che avrebbero portato “all’ estensione del diritto all’abitare” attraverso “verifiche dei patti convenzionali a tutela dei cittadini e la approvazione delle storiche prime decadenze di convenzioni nei Piani di Zona per tutelare il diritto all’abitare”.
Tra gli altri obiettivi realizzati ci sarebbe: “la ripianificazione dei Piani di Zona per il calmieramento dei prezzi delle case e la tutela dell’agro romano contro il consumo di suolo. Lo sviluppo della convenzione per l’Housing Sociale con l’individuazione degli obiettivi dell’edilizia a canone calmierato. La partecipazione a bandi sperimentali (bando Mit) per il potenziamento il parco alloggi di edilizia residenziale pubblica con modalità sperimentali di creazione di comunità inclusive”.
Molto più social che sociale è poi il programma di Carlo Calenda. In realtà anche nella sua lista non mancano personalità vicine alll’associazionismo, come Caterina Boca, dell’ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas italiana, che in questi anni si è occupata non solo di migrazioni ma anche di politiche inclusive e dell’analisi di sussidi come il reddito di cittadinanza. Nel suo programma, Calenda ricorda che “Roma è una città profondamente diseguale sia in termini di reddito che di servizi e opportunità”.
Tra le sue proposte quella di trasformare i centri anziani in centri sociali aperti anche ai giovani, con attività ricreative e culturali per tutti e quella di creare una banca dati sui servizi sociali offerti e il numero di beneficiari, per poter rispondere meglio ai bisogni. In questi mesi di campagna, però, il candidato sindaco si è occupato soprattutto di malamovida e decoro urbano. Molto meno dei reali problemi di chi vive ai margini. Ma questo sembra un tratto comune ai quattro principali candidati a sindaco di Roma.