A bar, ristoranti e hotel la guerra russo-ucraina è già costata due milioni di euro. Meno incassi per la riduzione dei turisti, ma soprattutto più spese per le forniture di materie prime (alimentari ed energia in primis) e per i trasporti delle merci, scrive oggi il dorso romano del Messaggero, che torna a fare il punto sugli effetti della guerra per le imprese romane.
Con il merluzzo salito del 20 per cento e la carne di maiale del 30, il settore vuole mettere un freno ai rincari per evitare o quanto meno limitare di ritoccare i listini: la Pipe Confcommercio è pronta a lanciare una piattaforma d’acquisto con i maggiori distributori di cibi e bevande per provare a congelare i prezzi delle materie prime. L’intesa è a un passo.
Con l’avanzamento del conflitto, il tempo a disposizione è poco. E già in settimana la sigla che racchiude i principali attori della somministrazione romana vuole chiudere i primi accordi con i maggiori fornitori: sul fronte delle derrate alimentari – scrive il Messaggero – si fanno i nomi del gruppo Marr (della famiglia Cremonini), di Capecchi, di Natural Catering, di Maiorana e su quello di alcolici e soft drink si vogliono coinvolgere Berna be i e Doreca. L’obiettivo – spiega il quotidiano – è di creare una centrale d’acquisto unica online, attraverso la quale i gestori di bar, ristoranti e hotel possano rifornirsi. Proprio l’alto numero degli ordini dovrebbe spingere i grossisti a contenere i prezzi delle materie prime. L’adesione a questo mercato virtuale sarà libera in modo da non incorrere nelle ire dell’Antitrust.
I timori
Racconta al Messaggero un ristoratore: “Bisogna m tutti i modi fermare i rincari selvaggi, anche perché la situazione è destinata a peggiorare. In questi giorni già paghiamo il pesce fresco tra il 10 e il 20 per cento in più (e chissà per quanto potremo ancora avere garantito il pescato), idem per gli ortaggi, mentre le carni di pollo e maiale sono aumentate tra il 20 e il 30 per cento. E fortuna che a differenza dei consumatori finali, di chi va il supermercato, ci sono all’ingrosso ancora scorte di pasta ordinate prima che schizzassero in alto le quotazioni del grano. Ma non durerà per molto”. In questo scenario, già alcuni esercenti hanno ritoccato i loro menu. “Ma sono in pochi a farlo, perché è rischioso in questo momento aumentare i prezzi; in città, dopo lo scoppio della crisi in Ucraina, non ci sono più turisti da Oltreoceano, quelli più munifici, mentre gli italiani devono spendere di più al supermercato o per fare il pieno. Non ci sono soldi, se facciamo pagare di più un piatto di pasta o una bistecca, chiudiamo”.
Secondo una rilevazione di Confcommercio tra gli operatori del terziario, il 66 per cento degli imprenditori sostiene che a breve la situazione può solo peggiorare. I più pessimisti, nell’ordine, sono i comparti dell’industria ricettiva (76 per cento), della logistica (70 per cento), del commercio “no food” e bar e ristoranti (66 per cento). Oltre la metà del panel, il 56 per cento, ha lamentato nelle prime due settimane di marzo forti aumenti dei prezzi.