Roma, il riassetto delle partecipate non decolla

Il Campidoglio non riesce a trovare la quadra sulle controllate che, un anno fa, la sindaca Raggi aveva promesso sarebbero scese da 31 ad 11. Più facile a dirsi che a farsi

Il riassetto delle partecipate del Campidoglio stenta a decollare. A distanza di oltre un anno dai proclami della sindaca Virginia Raggi, il portafoglio di partecipazioni del Comune di Roma resta ancora corposo. Una delusione per chi si attendeva che l’amministrazione capitolina avrebbe dato una sforbiciata alle 31 società pubbliche della Capitale. A settembre del 2017 la sindaca aveva infatti promesso di ridurre il numero di controllate di due terzi. Un’operazione che, secondo le stime dell’amministrazione capitolina, avrebbe portato a 90 milioni di “risparmi iniziali per 90 milioni di euro, 80 una tantum e dieci ogni anno”. Ma che, già all’epoca, si riteneva richiesse fra i tre e i cinque anni. Si tratta di un tempo biblico per un’azienda privata, ma non per le società pubbliche del Campidoglio che ogni anno eroga circa 1,6 miliardi di soldi dei cittadini per i contratti di servizio delle partecipate. Anche a dispetto del fatto che le casse della Capitale soffrano, i debiti si cumulino e il passivo delle partecipate pesi come un macigno sulla situazione finanziaria del comune.

Del resto, il piano di sfoltimento delle partecipate è più facile a dirsi che a farsi visto che le controllate del Campidoglio impiega a circa 34mila dipendenti. Un piccolo esercito, oltre che un ampio bacino elettorale, che lavora in 32 aziende del territorio, fondazioni incluse, sui temi più disparati e con un impatto socio-culturale rilevante. Se infatti Acea e Aeroporti di Roma restano le partecipazioni più rilevanti sotto il profilo strategico delle infrastrutture, accanto ci sono poi le due problematiche municipalizzate Ama e Atac, oltre ad un consistente numero di società e fondazioni che operano in ambito socio-culturali. Difficile districarsi in un mondo in cui, secondo la legge italiana, non è neanche chiaro se, in caso di fallimento aziendale, se si applichi la disciplina privatistica o quella pubblicistica. Con il risultato che non è chiaro se i dipendenti della società in fallimento debbano essere assorbiti nei ranghi del Comune oppure abbandonati al loro destino. Motivo per cui il riassetto, annunciato dall’allora assessore 5 Stelle Massimo Colomban, prosegue oggi a singhiozzo sotto la guida del suo successore Gianni Lemmetti.

Ma lo scarso successo della Capitale è un caso isolato o il piano del legislatore per sfoltire le partecipate non funziona nemmeno nel resto d’Italia?Secondo i dati raccolti dall’dell’Ifel, la fondazione dell’Anci per la finanza locale, a livello nazionale c’è stata una pesante sforbiciata: ci sarebbero attualmente in circolazione 1654 partecipate in meno rispetto all’avvio della riforma Madia. In pratica il 30% in meno. Sulla carta, quindi, si tratta di un grande successo. Ma, come spesso accade, il diavolo si nasconde nei dettagli. La riforma ha infatti generato tutta una serie di effetti collaterali che si nascondono dietro i numeri sui tagli. Innanzitutto diverse realtà si sono fuse. Quindi tecnicamente sono scomparse, ma nella realtà continuano ad esistere sotto un cappello diverso, più grande, in cui sono confluiti tutti i dipendenti che spesso sono in eccesso rispetto alle necessità societarie. Molte altre aziende sono riuscite a tornare in utile, ma restano molti dubbi sulle partite creditorie e debitorie verso l’ente locale che controlla la società. Sullo sfondo resta poi il servizio per i cittadini che talvolta non è soddisfacente.

Quindi se da un lato è vero che il numero di aziende di partecipate è sceso, è altrettanto vero che non tutti i nodi sono venuti al pettine. Roma non è quindi un caso isolato, ma lo specchio di quanto è accaduto e accade in tutta Italia, Paese in cui la politica locale ha spesso utilizzato le partecipate per alimentare un’oscura politica clientelare. La questione è particolarmente calda perchè in ballo c’è la tenuta dei conti dei Comuni e quindi tasse e servizi per i cittadini Di qui la decisione del governo di studiare nuove ipotesi di lavoro per dare più spazio ai comuni nel trattare una materia così sensibile per il territorio e per la politica come il riassetto delle partecipate.

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