Ieri il via libera del Consiglio dei ministri al disegno di legge messo a punto dal ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderol
Con il disegno di legge sull’autonomia “puntiamo a costruire un’Italia più unita, più forte e più coesa”. Lo ha dichiarato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, esprimendo soddisfazione per il via libera del Consiglio dei ministri di ieri al disegno di legge messo a punto dal ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli.
“Il governo – ha proseguito Meloni – avvia un percorso per superare i divari che oggi esistono tra i territori e garantire a tutti i cittadini, e in ogni parte d’Italia, gli stessi diritti e lo stesso livello di servizi”. “La fissazione dei Livelli essenziali delle prestazioni, in questi anni mai determinati – ha sottolineato poi il presidente –, è una garanzia di coesione e unità. Un provvedimento che declina il principio di sussidiarietà e dà alle Regioni che lo chiederanno una duplice opportunità: gestire direttamente materie e risorse e dare ai cittadini servizi più efficienti e meno costosi”.
Ma secondo Lavoce.info il Ddl “lascia aperte ancora tante questioni cruciali, dal ruolo del Parlamento ai Lep, fino al tema più importante: l’assegnazione delle fonti di finanziamento”.
Lo spirito della riforma – scrivono Paolo Balduzzi e Andrea Ballabio – dovrebbe essere quello di innescare una competizione virtuosa tra le regioni in grado di fare di più e meglio dello stato centrale. Tuttavia, il pericolo è quello di moltiplicare le burocrazie e i centri decisionali, di ingolfare le istituzioni (e il paese) con regole troppo diverse da regione a regione, nonché di alimentare un’ulteriore sovrapposizione delle competenze tra stato e regioni.
Il disegno di legge sull’Autonomia è composto da dieci articoli, e come si legge nel testo approvato in Cdm, “definisce i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione”. Il testo chiarisce che “l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei relativi Livelli essenziali delle prestazioni, i quali “indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali, per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali”.
Per quanto riguarda la procedura, nel testo si spiega che lo schema di intesa preliminare negoziato tra Stato e Regione viene approvato dal Consiglio dei ministri, trasmesso alla Conferenza unificata per “l’espressione del parere, da rendersi entro trenta giorni”, e poi “alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari” entro “sessanta giorni”. Il presidente del Consiglio dei ministri o il ministro per gli affari regionali e le autonomie, valutati i pareri della Conferenza unificata, “predispone lo schema di intesa definitivo”, che è poi “trasmesso alla Regione interessata, che lo approva secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria”. Poi “entro trenta giorni dalla data della comunicazione dell’approvazione da parte della Regione, lo schema di intesa definitivo è deliberato dal Consiglio dei ministri”. Con lo schema di intesa definitivo, il Consiglio dei ministri delibera un disegno di legge di approvazione dell’intesa. “L’intesa definitiva, dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri, è immediatamente sottoscritta dal presidente del Consiglio dei ministri e dal presidente della Giunta regionale”, prosegue il testo, e “il disegno di legge, cui è allegata l’intesa, è immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione”.
L’intesa tra Stato e Regione in tema di autonomia differenziata ha una durata “comunque non superiore a dieci anni”, secondo quanto prevede il testo. “L’intesa di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – si legge nello schema del ddl – indica la propria durata, comunque non superiore a dieci anni. Con le medesime modalità previste nell’articolo 2, su iniziativa dello Stato o della Regione interessata, l’intesa può essere modificata”. I livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (Lep) e i relativi costi e fabbisogni standard sono determinati con uno o più decreti del presidente del Consiglio dei ministri.
Il ddl stabilisce che il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai Lep, “può essere effettuato, secondo le modalità e le procedure di quantificazione individuate dalle singole intese, soltanto dopo la determinazione dei medesimi Lep e dei relativi costi e fabbisogni standard”.
“Qualora dalla determinazione dei Lep di cui al primo periodo derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica – si legge –, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie coerenti con gli obiettivi programmati di finanza pubblica”. Nel ddl si chiarisce poi che “le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione”.
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