Pubblicata sul sito web del Mit l’analisi costi-benefici e la relazione tecnico-giuridica sul Tav che boccia senza appello l’opera, anche considerando i costi necessari per fermarla. L’ipotesi più realistica sulle perdite, per gli esperti del ministero, è di 7 miliardi di euro.
Oggi il dossier è stato al centro del vertice di governo tra il premier Giuseppe Conte e il vicepremier Matteo Salvini. Grande assente l’altro vicepremier, Luigi Di Maio. Presenti all’incontro anche i ministri Enzo Moavero Milanesi, Riccardo Fraccaro e il sottosegretario Giancarlo Giorgetti.
Già stamattina dal M5S erano arrivati i primi commenti sul dossier per bocca di Paolo Romano, che sulla sua pagina Facebook sciveva: “Il Tav e’ un’opera inutile, a confermarlo l’analisi costi-benefici. Ad opera compiuta la perdita netta sarebbe di 7 miliardi. Investimenti macro ma vantaggi micro, un ecomostro che andava fermato”.
Bocciatura confermata anche dal Fatto Quotidiano che – sempre stamattina – ha anticipato il contenuto del documento degli esperti del ministero. Secondo i dati riportati dal quotidiano i costi sono pari a 12 miliardi mentre i benefici si fermerebbero a 800 milioni. E nell’ipotesi migliore si arriverebbe a un effetto negativo (sbilancio tra costi e benefici) di 5,7 miliardi, mentre nella peggiore quasi a 8 miliardi: i 7 miliardi di perdita rappresenterebbero invece l’ipotesi più ‘realistica’.
La commissione guidata da Marco Ponti – riporta il Fatto – facendo riferimento a diversi scenari sul traffico merci ipotizza, nel peggiore dei casi, costi fino a un massimo di 1,7 miliardi; nel migliore invece ci si fermerebbe a 1,3 miliari.
Nel dossier queste ipotesi sono definite “ipotetiche” e ”prudenziali”. Una cifra certa, infatti, nessuna sarebbe in grado di definirla. Le grandi gare d’appalto per i lavori del tunnel non sono state ancora bandite (il ministro Toninelli le ha congelate in accordo con Parigi), il Grant agreemen prevede che ”nessuna delle parti è autorizzata a chiedere un risarcimento in caso di risoluzione dell’opera da parte di uno dei contraenti”; e che l’Ue chieda indietro i fondi spesi è un’ipotesi considerata remota anche a Bruxelles