Finanza e politica tornano a mescolarsi ancora una volta. Per capire quali siano le nuove commistioni, bisogna fare un salto indietro di oltre due anni: 3 febbraio 2015, il direttore generale di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, è al telefono con il vicepresidente della popolare dell’Etruria, Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena Boschi che nel governo Renzi ha un peso notevole. Dieci giorni prima l’esecutivo, con un decreto, ha varato la riforma delle banche popolari e, circa una settimana dopo, l’istituto di credito aretino verrà commissariato dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan su richiesta del governatore di Bankitalia Ignazio Visco.
Dicevamo della telefonata: Boschi sta cercando un modo per salvare l’istituto di credito di cui è dirigente, ed è pronto a rivolgersi alle banche venete per trovare un accomodamento. Consoli sembra disponibile, forse perché spera di potersi accreditare presso l’esecutivo. E infatti il padre della ministra dice – secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano – : “Domani in serata se ne parla, io ne parlo con mia figlia, col presidente domani e ci si sente in serata”.
Sembra la prova capitale che l’ingerenza, sempre smentita dai diretti interessati, della ministra Boschi e, forse, dell’intero esecutivo nella vicenda Etruria esista eccome. E queste nuove intercettazioni non fanno che avvalorare una tesi che viene portata avanti da tempo. La prima ipotesi venne formulata da Ferruccio De Bortoli, nel suo libro uscito il mese scorso, in cui dà conto della richiesta della Boschi all’allora amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, di rilevare Banca Etruria. Il secondo indizio è una riunione a casa dei Boschi in cui Etruria e Veneto Banca avrebbero mostrato al ministro i conti non più in regola.
Le intercettazioni pubblicate dal Fatto Quotidiano mostrano la concitazione di Consoli, preoccupato che qualcuno voglia fermare la fusione, e riporta le parole di Boschi, che inizia a delineare scenari possibili: un aumento di capitale garantito dal consorzio per avere l’ok della Bce. In realtà le cose non andranno così, tanto che Ubi rileverà l’istituto aretino per un euro.
Sul fronte Veneto Banca, intanto – e qui torniamo al presente – continua a regnare l’incertezza: Unicredit e Intesa vogliono precise garanzie che l’aumento di capitale richiesto (si parla di 1,25 miliardi) sia definitivo e risolutivo e non l’inizio di una lunga trafila di nuove iniezioni di liquidità. L’alternativa è quella già dichiarata in più occasioni: Intesa interviene e ottiene, in cambio, l’incremento del fondo statale a sostegno degli esuberi che la banca dovrà necessariamente effettuare per aumentare la propria redditività.