Anche il referendum sull’Atac fra le ‘spine’ della Raggi

Magi (comitato promotore): Raggi ha detto che il referendum è stato il voto alle comunali, vogliamo smentirla. Sul quorum pronti a ricorrere al Tar

C’è anche il referendum sulla liberalizzazione del trasporto pubblico di Roma fra le spine di Virginia Raggi: una consultazione che si svolgerà l’11 novembre, proprio il giorno dopo della prevista sentenza sul presunto falso della sindaca nella questione che riguarda il fratello di Raffaele Marra. E se il referendum dovesse raggiungere il quorum (un terzo degli aventi diritto) e vincesse il sì alla liberalizzazione, sarebbe difficile non pensare anche ad un giudizio politico sull’operato del Campidoglio. Ma questo si vedrà: per il momento la pattuglia radicale (Tania Pace, Francesco Mingiardi, Simone Sapienza, capitanati da Riccardo Magi) è come sempre combattiva e chiede più spazio agli organi di informazione pubblica, segnatamente ai nuovi direttori dei Tg Rai che vedranno una lettera di ‘protesta’ recapitata a breve sulle loro scrivanie.

“Raggi ha detto che il referendum c’è già stato e lei lo ha già vinto quando si è votato per le comunali”, ha ricordato Magi, in una conferenza stampa. “Ebbene, noi vogliamo smentirla”. Ma al comitato promotore non va giù neanche un’altra cosa: la questione del quorum, sulla quale “raggi ha creato il caos”. Questo dovrebbe essere, per una complicata questione legata alla data di entrata in vigore    delle norme che non vogliono più il quorum “L’ultimo referendum che ancora prevede un minimo di partecipanti”. A parte ogni considerazione, dicono i promotori, “su un movimento politico che fa della democrazia diretta la sua bandiera”, dato che c’è incertezza sull’interpretazione della normativa “siamo pronti a ricorrere al tar, qualora non ci fosse il quorum”.

Francesco Mingiardi snocciola alcuni dati che danno un quadro sulla diseconomia dell’attuale azienda dei trasporti della capitale. Ne citiamo uno. “L’Atac vive per il 70 per cento di trasferimenti di risorse pubbliche, 20 per cento dalla biglietteria, e 10 per cento di deficit. Questo significa che ogni biglietto non costa 1 euro e 50, ma in realtà grava sui cittadini per 7,50 euro”. Come dire che anche chi non prende mai l’autobus deve pgare 170 euro ogni anno.

 

 

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