La nomina del nuovo direttore, Luca De Fusco, scelto dalla Regione e dal Mic, escluso il Campidoglio, ennesimo tassello di una sfrenata occupazione di spazi
“Rispetto ai precedenti governi di centrodestra che, scimmiottando la sinistra, hanno fallito la valorizzazione di una nuova dimensione culturale è la prima volta che ci troviamo di fronte alla volontà di costruire un sistema schiettamente di destra sia sul piano economico che culturale. L’ex direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano, portato al vertice del Ministero dei Beni culturali, per la sua esperienza politica e professionale è la riprova di realizzare strategiche sinergie fra cultura e comunicazione, tali da incrinare il mainstream finora dominante della cultura di sinistra”.
Mai previsione fu così precisa, ma altrettanto disattesa. La fece, pochi giorni dopo il giuramento del governo Meloni, Alessandro Giuli, firma di “Libero”, considerato uno dei punti di riferimento giornalistici e intellettuali della leader, oggi presidente del Maxxi, uno dei principali musei italiani.
Dopo la precipitosa tornata di nomine alla Rai, al Centro Sperimentale di Cinematografia, al vertice di musei e mostre, come la Biennale di Venezia, entra nell’orbita della campagna di occupazione “culturale” della destra anche il Teatro di Roma, nel cui alveo tornano nella gestione ordinaria i teatri Argentina, India, Torlonia e, dalla fine dell’anno anche il Valle. Inoltre la nomina del nuovo direttore del Teatro nazionale della Capitale, Luca De Fusco, ha preso in contropiede il Campidoglio scatenando le ire del sindaco Roberto Gualtieri e dell’assessore alla cultura Miguel Gotor, che ha definito “carbonara” la seduta del cda che ha portato alla nomina.
Nonostante le dichiarazioni del neo direttore, con un ricco curriculum di direzioni artistiche, che respinge ogni dipendenza o vicinanza di carattere politico, l’operazione viene fatta rientrare nella strategia del dg Rai, Gianpaolo Rossi e del presidente della commissione cultura, Federico Mollicone, ai quali Giorgi Meloni avrebbe affidato il cosiddetto spoil system, ossia il cambiamento di vertici anche nel settore culturale.
Del resto è una reazione che potrebbe essere comprensibile di fronte a decenni in cui i cosiddetti intellettuali di sinistra si sono presi tutto, consigli di amministrazione di istituzioni culturali, vertici delle fondazioni, di mostre e di musei, costringendo all’angolo chi non faceva parte del loro schieramento, al di là dei meriti professionali.
Tuttavia, come non ha mancato di sottolineare il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un recente intervento, la cultura non dovrebbe sopportare restrizioni e pretendere il rispetto delle opzioni di ogni cittadino e respingere la pretesa, sia di pubblici poteri o di grandi corporazioni di indirizzare le sensibilità verso il monopolio di un pensiero unico.
Purtroppo, a meno di correzioni di rotta, la politica che si è “alternata”, il cosiddetto “modello Giorgia”, non riesce a sottrarsi al fascino della rivincita anche sul fronte culturale, e si allontana così la previsione di Giuli della costruzione di un sistema “schiettamente di destra” sul piano culturale.
Infatti ciò presupporrebbe non limitarsi alla sostituzione delle “poltrone” sulla base della fiducia, ma impegnarsi a dare un segnale di equità e indipendenza, nonché di attenzione a valori che dovrebbero prescindere da schieramenti.
Così la premier si guadagnerebbe rispetto e credibilità, anziché accuse di arroganza e la minaccia di una mobilitazione civica da parte del mondo della cultura, come paventato dall’assessore Gotor dopo il blitz al Teatro di Roma.