L’economia italiana è accreditata di una crescita dell’1,2% per l’anno in corso secondo le ultime stime dell’Istat e confermate anche dall’Ocse. Una performance migliore per il terzo anno consecutivo rispetto a quella di Germania e Francia e ben sopra la media europea. Al tempo stesso è migliorata l’occupazione. Il Governo si è subito intestato, comprensibilmente, i dati positivi ma una lettura più ampia e profonda delle recenti evidenze economiche dovrebbe suggerire maggiore prudenza e stimolare un’azione energica per rimuovere le evidenti criticità che affliggono l’economia italiana. Non si tratta di fare le Cassandre o gli abbonati al pessimismo, ma analizzare l’economia e la società con una visione non condizionata dai decimali statistici.
Con questo approccio emerge un quadro a tinte cupe, specialmente alla luce delle sfide impegnative che il Paese deve affrontare. Anche altri rilievi statistici vanno in quella direzione. La Confcommercio all’assemblea annuale ha sottolineato il trend negativo dei consumi interni e l’Istat ha segnalato i risultati preoccupanti di aprile. Nemmeno la Pasqua e il ponte del 25 sono riusciti a sostenere la domanda. Non tragga in inganno l’aumento di valore dei consumi (+0,9% sul mese precedente). I volumi acquistati arretrano dello 0,6% e segnalano che nel comparto dei prodotti alimentari far scendere l’inflazione sarà impresa lunga e impegnativa.
La crescita risente dell’effetto dei bonus edilizi verso il ridimensionamento
La scusa dei costi energetici record non regge più. Le quotazioni del gas sono tornate ai livelli precedenti la guerra in Ucraina, sotto i 30 euro per MW rispetto agli oltre 300 del picco di un anno fa.
E l’Italia, storicamente, è uno dei paesi europei dove l’inflazione impiega poco tempo per infiammarsi ma poi scende con molta fatica. Un fenomeno che chiama in causa l’assetto di una economia poco incline alla concorrenza grazie a scelte politiche che continuano a preservare monopoli e oligopoli specie se in quei mercati operano aziende controllate dallo Stato e/o dagli enti locali.
Il quadro economico mostra l’Eurozona in recessione tecnica nel primo trimestre con un Pil in contrazione dello 0,1% mentre l’Italia mette a segno un +0,6%. Ma la crescita del trimestre beneficia ancora dell’effetto dei bonus edilizi in via di drastico ridimensionamento con la cancellazione dell’opzione della cessione del credito. E soprattutto la buona performance in termini di Pil non si riflette con la stessa intensità sull’occupazione e soprattutto sul livello delle retribuzioni che restano in fondo alla classifica in Europa.
La disoccupazione scende molto lentamente, ad aprile al 7,8% dal 7,9%. A termine di paragone l’economia tedesca nonostante un 2022 non proprio brillante ha fatto il record di occupati e i senza lavoro sono ai minimi storici, appena il 2,8%, mentre in Italia non sono riusciti a scendere sotto il 6%. Eppure l’economia italiana ha più fame di occupati della Germania. Secondo Unioncamere nel prossimo trimestre le imprese faranno 1,4 milioni di nuove assunzioni (al lordo delle cessazioni) ma circa la metà sarà molto difficile da soddisfare. D’altronde l’Italia è fanalino di coda in Europa per laureati e gli istituti professionali nonostante i proclami di rilancio (nel Pnrr sono previsti investimenti per 1,5 miliardi di euro) languono, appena 20mila diplomati l’anno contro il mezzo milione in Germania.
La carenza di personale qualificato e l’incognita del Pnrr
La carenza di personale qualificato è diventata la priorità per molte imprese ma le risposte necessitano di tempi lunghi, incompatibili con i tempi dell’economia produttiva. I soliti bonus alle famiglie per favorire la natalità non sono nemmeno un pagliativo mentre i servizi per le famiglie sono in costante contrazione. Sarebbe opportuno un allentamento sull’immigrazione regolare ma è un tabù inviolabile per Lega e Fratelli d’Italia. Il click day per il decreto flussi si è esaurito in poche ore e le domande delle imprese sono state soddisfatte per una quota inferiore al 30%. Politicamente è preferibile seguire Orban dimenticando che l’Ungheria non è l’Italia.
E poi c’è l’incognita del Pnrr. La premier Meloni e il ministro Fitto finora hanno profuso ogni energia per scaricare le responsabilità dei ritardi e individuare nemici visibili. Ultimo in ordine di tempo la Corte dei conti con la stretta sui controlli. Un anno fa Meloni dall’opposizione aveva presentato una proposta di legge per rafforzare i controlli della magistratura contabile. Ma è un dettaglio. Il ridimensionamento della Corte dei conti è più di forma che di sostanza. Sui ritardi pesa anche la modifica della governance del Pnrr imposta dalla premier e che ha richiesto ben cinque mesi. Con un obiettivo esclusivamente politico, svuotare le competenze in capo al MEF e concentrare le funzioni principali a Palazzo Chigi. Le criticità non sono state rimosse, a partire dalle procedure. C’è l’impegno italiano a tagliarne 600 ma il lavoro deve ancora iniziare, l’integrazione delle banche dati per il monitoraggio è ancora in alto mare, la qualificazione delle stazioni appaltanti nella migliore delle ipotesi rimarrà un’aspirazione.
La vitalità delle imprese italiane e la voglia di reagire alla pandemia e alla guerra sono state la molla che ha trainato l’economia del Belpaese. Ma le storiche e croniche disfunzioni del sistema Italia sono ancora da scalfire e rappresentano un macigno che incombe sulle nuove generazioni.