Fisco: un cantiere senza fine con semplificazioni solo apparenti

Il decreto all’esame del Parlamento semplifica semmai l’amministrazione finanziaria, mentre complica la vita al contribuente e persino lo penalizza

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Il fisco italiano presenta poche virtù e molti vizi. Soffre di molteplici storture che lo rendono un sistema privo di una logica coerente e carente di una visione di lungo termine improntata ai valori della giustizia e dell’equità. Ma il principale difetto à la mancanza di stabilità. Da molti anni si assiste a una bulimica produzione di norme fiscali il cui unico effetto è mettere sotto stress l’intero sistema di tassazione che assume le sembianze di un cantiere senza fine.

Un sistema fiscale coerente, efficace e equo è ormai un miraggio, la triste realtà è la costante disarticolazione della fiscalità italiana che conta oltre mille voci. I risultati principali del perverso processo sono la crescente iniquità e la complessità.

Questa architettura non sembra verrà modificata dal decreto semplificazioni all’esame del Parlamento. Anzi. Non è un paradosso ma il decreto semplificazioni nella parte dedicata al fisco riesce addirittura a complicare la vita di cittadini e imprese. Si avverte la mancanza di una filosofia della semplificazione. Un fisco semplice dovrebbe essere il principio generale verso il quale orientare sia la normativa e sia le procedure. E invece troppo spesso la confusione regna sovrana tra gli adempimenti finalizzati al contrasto all’evasione e quelli per la determinazione dell’imposta.

Seri problemi agli intermediari nella tempistica per effettuare i calcoli delle imposte

Quel poco di semplificazione che si scorge nel decreto riguarda soprattutto l’amministrazione finanziaria invece del contribuente. Ad esempio le modifiche al calendario fiscale penalizzano contribuenti e intermediari. Un mese in più per la pubblicazione dei modelli di dichiarazione e 15 giorni in più per specifiche tecniche software. Il risultato è che creano seri problemi agli intermediari nella tempistica per effettuare i calcoli delle imposte dovute e si accorciano i tempi alle imprese per la trasmissione delle comunicazioni. Se va tutto bene soltanto 15 giorni. Altro esempio è la proroga a settembre prossimo per la presentazione della dichiarazione della tassa di soggiorno 2020 e 2022. La norma esclude gli intermediari quando questi non hanno la delega per l’accesso al cassetto fiscale limitando così la platea dei soggetti abilitati.

Altro tema che contraddice la semplificazione è la proroga al 2026 del regime di reverse charge che rappresenta una spina nel fianco delle imprese in quanto complica l’emissione della fattura e in alcuni casi determina situazioni croniche di credito Iva.

La proroga dell’autodichiarazione degli aiuti Covid

Altro esempio concreto di cattiva programmazione delle procedure finalizzate alla semplificazione è il caso della proroga dell’autodichiarazione per gli aiuti Covid dal 30 giugno al 30 settembre 2022. Poiché i dati relativi alle agevolazioni Covid devono essere riportati nel Registro Nazionale degli aiuti di Stato, sarebbe stato opportuno chiedere ai contribuenti qualche dato in più al momento della richiesta ed evitare così la presentazione di un ulteriore modello. Questo aspetto chiama in causa la questione delle banche dati. L’interoperabilità tra queste per essere efficace e concreta dovrebbe essere pensata già nella fase di costruzione o revisione delle singole banche dati.

Persino nella semplificazione dell’esterometro il decreto riesce a generare nuove complessità. E’ certamente positivo che il modulo non dovrà essere compilato per molte operazioni ma l’avvio della modifica in corso d’anno determinerà sicuramente complicazioni procedurali. Identico rischio per la semplificazione dei modelli Irap con l’accorpamento delle voci di costo deducibili relative ai dipendenti con contratto a tempo indeterminato. Introdurre la nuova norma da subito invece di coprire interamente l’anno d’imposta 2022 significa far scontrare una semplificazione con la rigidità di procedure informatiche.

 

Un nuovo taglio al cuneo fiscale potrebbe essere una nuova tegola all’equità fiscale

 

Meriterebbe un intervento anche la disciplina sulle società in perdita sistemica. Sarebbe auspicabile che per determinare il reddito e il valore della produzione prendere a riferimento il valore delle immobilizzazioni. Tale accorgimento eviterebbe alle imprese in perdita da 5 anni consecutivi di entrare in automatico nella disciplina delle società di comodo. Inoltre considerando che la pandemia è ancora in corso sarebbe auspicabile intervenire anche sul concetto di non operatività, almeno modificando i parametri.

Se il decreto semplificazioni in realtà genera nuove complicazioni, sull’equità del sistema fiscale italiano si profila un’altra tegola. Il Governo sta studiando un nuovo taglio al cuneo fiscale. La riduzione di imposte e contributivi è sempre auspicabile ma tra i principi basilari di ogni sistema fiscale c’è l’equità orizzontale (identica tassazione a parità di reddito) e verticale (progressività lineare). Già oggi il prelievo fiscale dipende in larga parte dalla categoria di appartenenza del contribuente (dipendente, autonomo, pensionato) piuttosto che dal livello del reddito. E’ la premessa per la dissoluzione del sacro principio di tassare allo stesso modo tutti i redditi di qualsiasi fonte.

 

 

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