Entro il 2026 l’Italia deve spendere quasi 350 miliardi tra Pnrr e fondi della programmazione, sia quella 2021-2027, sia i residui di quella 2014-2020. La capacità di spesa annua deve aumentare di quattro volte
La prima manovra del Governo a guida Giorgia Meloni approda in Parlamento per un iter che si annuncia assai rapido, con tempi ristretti e soprattutto con spazi di manovra quasi nulli per correzioni e aggiustamenti da parte delle Camere. Superando gli aggettivi della maggioranza (responsabile e coraggiosa) e dell’opposizione (iniqua), l’impostazione della legge di bilancio riflette in larga parte la continuità con il governo precedente destinando larga parte delle risorse a disposizione (35 miliardi) alla conferma di misure già in vigore, a partire dai sostegni al caro bollette, taglio del cuneo fiscale per redditi fino a 35mila euro.
Una parte era un vincolo politico coerente con le promesse in campagna elettorale, anche se riviste al ribasso. Così una nuova deroga della legge Fornero introducendo quota 103 (da 102 del governo Draghi), parziale estensione della flat tax agli autonomi, aumento del tetto al contante, taglio al reddito di cittadinanza, rivalutazione degli assegni pensionistici al 100% solo per quelli inferiori a 2.100.
Su quest’ultimo punto la scelta dell’esecutivo crea discriminazioni. Viene ignorata la mappa dei pensionati che in media percepiscono 1,4 assegni e circa un milione arrivano a percepirne tre. Se uno incassa due pensioni da 1.500 euro ciascuna godrà della rivalutazione piena. C’è poi la platea di pensionati che continuano a lavorare o che maturano redditi d’impresa. Insomma una rivalutazione non sull’assegno ma sul reddito complessivo sarebbe stata più equa. Altro intervento non proprio equo è il bonus ai dipendenti pubblici pari all’1,5% della retribuzione, una misura che premia le fasce alte e penalizza i livelli più bassi.
La manovra inoltre sconta un contesto economico in deterioramento a causa dell’inflazione che ha spinto la BCE a modificare la politica monetaria aumentando il costo del denaro. Alcuni giudizi dal mondo delle imprese sono molto negativi, idem da parte del sindacato nonostante al Governo Meloni vada riconosciuto di aver inaugurato una nuova stagione della concertazione. La politica economica, di cui la legge di bilancio, ne rappresenta soltanto una parte, deve avere due riferimenti nella fase che stiamo vivendo. Da un lato sostenere imprese e famiglie rispetto alla crisi dei costi energetici e dall’altro mettere a terra le risorse del Pnrr e della programmazione comunitaria per dare impulso agli investimenti per la modernizzazione del Paese.
Più che mancanza di visione come lamentato dal presidente di Confindustria, la manovra è piuttosto restrittiva sulle risorse per crescita e sviluppo mentre sui sostegni al caro-energia non chiarisce cosa accadrà dal primo aprile.
Manca la continuità di alcuni programmi che risultano fondamentali per sostenere il sistema economico e produttivo. Ad esempio Transizione 4.0 dal primo gennaio subirà un ridimensionamento dell’intervento dimezzando il beneficio, così come la dotazione scarsa per il rifinanziamento della nuova Sabatini (500 milioni), l’incertezza sul bonus formazione, l’ennesimo cambio di regole per i bonus edilizi introdotto con il decreto aiuti-quater. Modesto anche il rifinanziamento dei contratti di sviluppo (160 milioni per quelli industriali, 40 milioni per i settori turistico e agroalimentare) che nel primo semestre hanno registrato un crescente interesse con 138 domande per un volume di 2,5 miliardi di investimenti.
Non c’è quasi nulla per digitalizzazione e transizione energetica, due processi invece che dovrebbero avere la priorità, mentre il Governo sembra non avere le idee molto chiare come dimostra la vicenda Tim-Open Fiber per realizzare la rete unica di telecomunicazioni. Non c’è dubbio che le misure per favorire la crescita dovranno arrivare dal Pnrr che rappresenta la seconda e principale gamba per dare impulso alla congiuntura attraverso investimenti cruciali per il futuro del nostro paese. In base al cronoprogramma l’Italia nel 2023 dovrà spendere oltre 50 miliardi nell’ambito del piano di ripresa e resilienza.
La vera novità di politica economica sarebbe quindi una integrazione sostanziale tra legge di bilancio e Pnrr per dare continuità a programmi e investimenti che hanno mostrato ritorni importanti.
Un tale approccio offrirebbe un altro rilevante vantaggio consentendo al Paese maggiori capacità di spesa. Entro il 2026 infatti l’Italia deve spendere quasi 350 miliardi tra Pnrr e fondi della programmazione, sia quella 2021-2027, sia i residui di quella 2014-2020. In sostanza circa 80 miliardi l’anno rispetto a una capacità che a stento arriva a 20 miliardi. E non si scorgono strumenti innovativi o procedure moderne per aumentare la capacità di spesa pubblica. Anzi, l’annunciato nuovo codice degli appalti quasi certamente produrrà un periodo di stallo per consentire alle stazioni appaltanti di adeguarsi alla nuova cornice normativa.
Il rischio invece è che il Governo intenda essere ancor più accentratore. Un segnale preoccupante è un articolo della legge di bilancio che sul tema infrastrutture di fatto affida al ministero di Salvini in modo discrezionale campo libero nella scelta delle opere infrastrutturali prioritarie. Una pubblica amministrazione che certo non brilla per efficienza dovrebbe fare sfoggio di prudenza prima di assegnarsi ulteriori ruoli e funzioni.