Il governo accetta probabilmente di mettere mano alla manovra per apportare quei ritocchi che facciano scendere la percentuale di spesa in deficit, come ha fatto capire anche Matteo Salvini, che ha detto che “nessuno vuole attaccarsi ai decimali”. La due giorni di Conte a Bruxelles ha portato così un qualche risultato. I tono sono stati molto morbidi sia da parte di Roma che della commissione Ue, le dichiarazioni di disponibilità reciproca si sono succedute, anche nella tornata di confronto con i 27, ma, alla fine, qualcuno doveva cedere. E, a fronte della grande cautela dimostrata da Junker, che però ha fatto capire che col deficit al 2,4 la procedura d’infrazione sarebbe stata inevitabile, a Roma è convenuto aprire a qualche modifica nei numeri.
Come dimostra anche l’indice dello spread, che ha subito aperto in forte ribasso calando nettamente in apertura a 291 punti. Venerdì scorso il differenziale aveva chiuso a 308 punti.
Politicamente, dunque, il governo sembra accettare una certa retromarcia: uno 0,2 per cento a fronte di un rapporto più rilassato con i partner europei, compresi i governi sovranisti che non sono disposti a perdonare nulla all’Italia, e andando anche incontro al Quirinale che ha sempre sottolineato l’importanza di mantenere aperto un dialogo con la commissione europea.
Come si concretizzeranno questi risparmi (sempre che le cose vadano davvero così), non è chiaro, al momento. I due pilastri di ‘quota 100’ e raddito di cittadinanza, però, difficilmente potranno uscire indenni. Sulle pensioni sono possibili penalizzazioni in funzione dell’età, mentre i 5 Stelle sembrano essersi persuasi che almeno una parte del reddito di cittadinanza potrà essere conferita alle imprese in termini di sgravi fiscali per nuove assunzioni.