Il destra-centro propone l’assegno di inclusione che introduce una discriminazione all’interno del mondo della povertà. Insieme alla mancanza di salari dignitosi, immigrazione, inflazione che non scende, l’economia che traballa… l’azione del governo arranca.
E’ iniziato nel peggiore dei modi il percorso che tra il 31 luglio e il prossimo 31 dicembre porterà alla cancellazione del Reddito di cittadinanza. Comunicazioni via sms dall’Inps, nessun coordinamento tra l’istituto e i comuni, mancanza di alcuni decreti attuativi da parte del governo Meloni che rendono la transizione un autentico rebus per alcune centinaia di migliaia di famiglie che ignorano se il prossimo mese riceveranno o meno il sussidio.
Opposizioni all’attacco, mentre la premier e i ministri interessati si rifugiano in un assordante silenzio. La maggioranza tira dritto, anzi alcuni parlamentari di Fdi hanno proposto la costituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare per verificare l’operato dell’ex presidente Inps, Tridico. Forse dimenticando che l’Inps è un ente autonomo, ma sottoposto alla vigilanza del ministro del lavoro e deve applicare le leggi approvate dal Parlamento.
Al netto dell’aspra e squallida polemica politica, emergono due elementi sui quali riflettere. Dopo appena quattro anni l’Italia cancella lo strumento universale di contrasto alla povertà senza una analisi seria sul Reddito di cittadinanza per capire cosa ha funzionato e cosa no. L’altro è l’ennesima prova di inefficienza della macchina amministrativa del Paese, banche dati pubbliche che non dialogano tra loro, profonda frattura ai limiti del collasso nelle comunicazioni tra amministrazione centrale e enti periferici, scarsa trasparenza nelle competenze. E’ un fatto che migliaia di sindaci sono in trincea, abbandonati, senza nemmeno poter accedere ai dati Inps sui beneficiari per vincoli di privacy. L’Inps assicura che nessuno verrà lasciato solo ma mancano ancora procedure e circolari, non è ancora attivato il supporto alla formazione che è tra le misure vincolanti per continuare ad avere il sussidio anche se con importo tagliato.
Sempre l’Inps ha fatto sapere che sta lavorando per realizzare una sinergia con centri per l’impiego, servizi sociali dei comuni e gli enti di formazione per gestire le nuove norme. La realtà è che ancora una volta la macchina della burocrazia è partita in ritardo e male.
C’è anche un altro elemento che la classe politica ignora: la povertà non si cancella per decreto così come nessuna norma legislativa crea occupazione. Il 2022 è stato un anno di forte crescita per l’economia italiana e tra gli effetti prodotti c’è stata la riduzione del 7% di famiglie che hanno incassato l’assegno di sostegno. A dimostrazione che i percettori del reddito non sono tutti fannulloni che preferiscono il divano e soprattutto che l’occupazione aumenta se il Pil sale e i salari crescono se migliora la produttività. Sono le leggi universali dell’economia.
Le frodi sono un fenomeno vasto che riguarda ogni sussidio e incentivo pubblico. La macchina amministrativa deve mettere in piedi procedure che contengano gli abusi entro limiti fisiologici. Altrimenti andrebbero tagliati i 19 miliardi l’anno per gli assegni di invalidità, i fondi europei per la formazione e le risorse per l’agricoltura e per le imprese. Al contrario negli ultimi quattro anni c’è stata una clamorosa esplosione di bonus e incentivi.
Nel merito del reddito di cittadinanza, la maggioranza di destra-centro ne ha fatto uno dei cardini della vincente campagna elettorale all’insegna di slogan di facile consenso. L’obiettivo politico era evidente ma è stato centrato senza proporre una alternativa razionale e soprattutto introducendo una discriminazione all’interno del mondo della povertà. L’assegno di inclusione partorito dal governo Meloni fa distinzioni, ignorando un principio ormai consolidato nelle democrazie mature: ci sono milioni di poveri che vanno aiutati prescindendo dalla carta d’identità, dalle condizioni di salute, dalla presenza di minori e anziani nei nuclei familiari. Il nuovo sussidio in realtà replica tutte le storture del reddito di cittadinanza, anzi le amplifica. La vera differenza è il taglio delle risorse, oltre il 30% da 10 miliardi a meno di 7 l’anno.
L’importo dell’assegno è unico, identico da Milano a Ragusa trascurando le differenze di potere d’acquisto. Continuano ad essere penalizzate le famiglie numerose e quelle straniere. Rimane l’impalcatura delle politiche attive destinata al fallimento, in quanto concepita su scala nazionale e immaginando un sistema i centri per l’impiego efficiente. La mappa del Rdc mostra che il 35% dei beneficiari risiede in Campania e Sicilia, due territori dove la domanda di lavoro da parte delle imprese è molto debole.
La premier naviga ancora con il vento in poppa. Ma la recente storia dell’Italia mostra che la bussola del consenso elettorale può cambiare drasticamente e molto rapidamente. Dopo nove mesi a Palazzo la politica degli annunci e scaricare sui precedenti le cose che non vanno inizia a mostrare segni di affaticamento. Povertà, salari dignitosi, immigrazione, inflazione che non scende, economia che traballa tra qualche mese saranno il metro di valutazione sull’azione di governo.