Si punta a garantire equità tra tutte le categorie di reddito, ma l’estensione della flax tax e il ritorno al concordato per le imprese non aiutano.
La riforma del fisco avviata dal Governo ha l’ambizioso obiettivo di mettere ordine all’intero sistema della tassazione. Ma come accade puntualmente da alcuni decenni esiste uno scarto profondo tra gli obiettivi nominali in tema fiscale e la pratica quotidiana. Anche l’esecutivo di Giorgia Meloni sembra soffrire della sindrome del gambero, un passo in avanti e due all’indietro, e di scarsa coerenza. La principale anomalia del fisco italiano è l’eterogeneità. Il sistema fiscale è un cantiere perennemente aperto e ogni contribuente può scegliere il proprio regime come se fosse il menù di un ristorante.
Un fisco “a la carte” che negli anni è diventato un autentico ginepraio con un totale di oltre mille voci fiscali che lo rendono incomprensibile. Ma per mettere ordine al sistema fiscale per renderlo più semplice e più equo occorre partire dalla foresta delle agevolazioni.
La giungla degli incentivi fiscali
Negli ultimi anni infatti c’è stato un crescente ricorso agli incentivi fiscali che offrono il vantaggio di essere rapidamente efficaci in caso di misure emergenziali a sostegno di cittadini e imprese. E’ stato il caso della pandemia e poi della crisi dei prezzi energetici. Le agevolazioni si articolano in maniera molto ampia. Il contribuente, cittadino o impresa, può scegliere tra deduzioni aggiuntive dal reddito d’impresa, riduzione delle aliquote attraverso forme di imposizione sostitutiva, regimi di sospensione d’imposta, rivalutazione di beni iscritti a patrimonio dell’impresa ovvero detenuti nella sfera della persona fisica, detrazioni d’imposta, crediti d’imposta.
Ogni anno viene redatto un rapporto sulle agevolazioni fiscali dal quale emerge una realtà raccapricciante. A titolo di esempio sono state censite l’anno scorso 112 spese fiscali relative a competitività e sviluppo delle imprese, 102 voci per diritti sociali e famiglia, 90 voci a tutela della finanza pubblica, 55 per politiche a favore del lavoro e altre 55 per la casa e l’assetto urbanistico.
Il credito d’imposta architrave della politica economica
Il punto, tuttavia, è che il ricorso alle agevolazioni e in particolare allo strumento del credito d’imposta è diventato il principale architrave della politica economica. Tra il 2016 e lo scorso anno il numero delle agevolazioni erariali e locali è aumentato di 130 voci, da 610 a 740, in particolare per effetto dell’incremento delle prime (+41%) mentre le agevolazioni locali sono diminuite del 31%. Corrispondentemente, l’entità della perdita di gettito complessiva nel periodo 2017-2023 registra un aumento del 43,9% passando da 87,3 miliardi di minori entrate nel 2017 a 125,6 miliardi di minori entrate nel 2023. Stiamo parlando del 7% del Pil.
Con un bilancio dello Stato che presenta maglie sempre più strette per la ricerca di risorse necessarie alla riduzione della pressione fiscale, si predilige l’opportunità di agire con dei meri fattori correttivi, riferibili a situazioni o condizioni specifiche delle imprese e dei cittadini che meritano di essere incentivate. Queste spinte hanno portato il sistema fiscale a diventare un vero ginepraio sempre più inestricabile anche se equo, sotto il profilo della capacità di assegnare le risorse in modo specifico laddove ce ne sia più bisogno.
Al contempo, esistono alcune “tax expenditures” che prevedono un trattamento particolare e differenziato in base alla natura del reddito prodotto, come nel caso delle detrazioni fiscali sui redditi soggetti ad IRPEF che, oltre a costituire un ulteriore elemento di complicazione, creano un ulteriore motivo di iniquità del sistema.
Nell’insieme i vari interventi hanno condotto all’attuale sistema fiscale che, oltre ad essere complicato, si presenta anche iniquo. La politica è riuscita a rompere il trade-off tra equità e complicazione del sistema, ma in senso negativo. La vera sfida per il futuro è quella di riordinare il sistema delle Tax expenditures per rompere il trade-off, ma in positivo, arrivando cioè ad un sistema di tassazione equo ed anche semplice.
A distanza di mezzo secolo è stata completamente tradita la grande riforma fiscale del 1973. Uno dei principali obiettivi di quella storica riforma era garantire condizioni di equità, sotto il profilo dell’imposizione fiscale, tra tutte le categorie di reddito da lavoro. A prescindere dalla fonte del reddito la ricchezza prodotta e distribuita sotto forma di utili veniva tassata allo stesso modo seguendo le aliquote progressive dell’Irpef. I redditi da lavoro dipendente, da lavoro autonomo e d’impresa seguivano la sola tassazione progressiva dell’Irpef.
Oggi quel sistema è stato completamente scassato. Un lavoratore dipendente, una partita Iva e un pensionato sono sottoposti ad aliquote fiscali diverse a parità di reddito. Anche ai livelli più bassi, considerato che la no tax area cambia al variare della fonte del reddito e ogni anno viene modificata. Oggi è fissata a 8.145 euro per i lavoratori dipendenti, 8.500 per i pensionati e 5.500 per gli autonomi.
Il governo ha promesso con la riforma una no tax area uguale per tutti, affermazione smentita dalla conferma, anzi estensione, della flat tax e dal ritorno al concordato preventivo per le imprese fino a 5 milioni di fatturato.
E’ molto probabile che la foresta del fisco italiano continuerà a crescere.