Sergio Rizzo per Il Corriere della Sera Roma
È sbagliato sostenere, come non pochi oggi fanno, che esiste una diretta correlazione fra lo stato pietoso in cui versa la capitale d’Italia e l’incapacità di affrontare i suoi problemi da parte della giunta. Virginia Raggi ha certo le sue responsabilità, e non sono poche. Il primo anno del suo mandato è un florilegio di gravi errori nelle scelte del gruppo dirigente, profonde incertezze gestionali e carenze strategiche. Il tutto condito da una oggettiva mancanza di autorevolezza. Troppe volte il suo ruolo è apparso confinato all’ordinaria amministrazione, peraltro mai affrontata con perizia e determinazione, mentre le decisioni cruciali venivano prese altrove: basterebbe citare il no alle Olimpiadi, il successivo e contraddittorio sì allo stadio della Roma calcio, le nomine chiave in giunta, perfino il niet agli immigrati maturato dopo la zoppicante tornata elettorale.
Né sono stati risparmiati i principi fondamentali del M5S, a cominciare dalla trasparenza. E sorvoliamo sulle multe pecuniarie per i dissidenti, così come sulla singolare elasticità del codice etico. Fatta questa premessa, per chiunque mettere mano a una città in queste condizioni sarebbe una missione quasi impossibile. Partiti politici ridotti a comitati d’affari, una classe dirigente fragile e in larga misura inadeguata, aziende municipalizzate in condizioni disperate con i sindacati che dettano legge e un’amministrazione che l’ex assessore alla Legalità, Alfonso Sabella, non ha esitato a definire un giorno «compromessa».
Per spiegare come si è arrivati a questo si dovrebbe fare un salto indietro di molti decenni. E forse non sarebbe sufficiente. Ma il fatto è che nessuno, pur di fronte a una degenerazione così evidente, ha cercato di fermarla. Non l’hanno fermata i politici che si sono alternati alla guida della città, gli imprenditori (soprattutto costruttori) che dal rapporto perverso con i politici di cui sopra hanno tratto profitti immensi, ma soprattutto non il governo nazionale. Così disinteressato da sempre alle condizioni della propria capitale da risultare il principale responsabile dello sfascio. E nemmeno ora interviene.
Eppure è chiaro come il sole che l’unica via d’uscita è quella di cambiare radicalmente lo status di questa città. Non è poi così difficile: basta copiare ciò che hanno fatto gli altri, per esempio gli americani o i tedeschi con le rispettive capitali. Ricordando poi sempre che Roma ne contiene addirittura due, di cui una (la Chiesa) planetaria. Fino a quando non si prenderà consapevolezza di questo, realizzando per esempio che è inaccettabile per la capitale di uno stato del G7 dipendere dalla Regione Lazio per avere i denari necessari a far camminare gli autobus come un qualsiasi piccolo comune dell’hinterland, non se ne uscirà.
Da parte nostra abbiamo sempre battuto su questo tasto, senza tuttavia dimenticarci del resto. Senza smettere di sottolineare le promesse elettorali finora tradite (per esempio quella di inibire il centro storico ai pullman turistici) e senza rinunciare a raccontare le cose che non vanno: dallo stato penoso dei servizi di trasporto all’approccio spesso dilettantesco con l’impiego delle risorse umane, dalla gestione dei rifiuti alle condizioni inaccettabili delle aree verdi, fino al trattamento indecente riservato ai monumenti di una città dove l’economia rischia di perdere i pezzi più pregiati attirati al Nord. L’abbiamo fatto impegnandoci al massimo e con la massima serietà, affidando alle nostre denunce il compito di contribuire a cambiare uno stato di cose che non può far piacere a nessuno che viva in questa città meravigliosa e stuprata.
Va detto che la risposta, purtroppo, non c’è stata. O meglio, la reazione della giunta Raggi è stata finora simile a quella del malato che invece di preoccuparsi della malattia se la prende con il medico che l’ha diagnosticata. Più di una volta siamo finiti nell’elenco dei giornali non graditi all’amministrazione. Il che non ci ha demoralizzati, spingendosi invece a continuare. L’informazione libera non è propaganda: il suo ruolo è quello di controllare il potere, qualunque esso sia. Talvolta lo fa bene, talaltra meno. Ma questa è la stampa, bellezza… E piaccia o no, ogni democrazia non ne può fare a meno.