Roma/manifestazioni, dalle idee politiche alle violenze

Roma vive frequenti manifestazioni che si risolvono sempre più spesso con scontri fra dimostranti/infiltrati e polizia lasciando in tutti amarezza, frustrazione e interrogativi aperti che ci devono far ripensare a una transizione anche per l'aggregazione collettiva

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Roma, la Capitale, è una piazza prescelta per le manifestazioni.

Le dirigenze politiche la promuovono per celebrare i loro anniversari, ma anche per intercettare, contenendo o fomentando con discorsi dal “palco”, il malumore che serpeggia nel Paese, come in questo periodo, al fine di prevenirne sviluppi di fronte a una crisi energetica e bellica, che riversa i suoi effetti disastrosi sull’intero sistema produttivo italiano, con conseguenze sociali imprevedibili.

Anche i cortei per la Pace, e contro la guerra e le stragi, che ormai conosciamo con una frequenza quasi quotidiana, trovano in Roma la piazza ideale per far sentire le voci di protesta di tutte le categorie sociali, comprese le vari classi di studenti che non mancano mai di essere presenti.

Tuttavia in ogni manifestazione di piazza basta una manciata di corpi incappucciati e le loro azioni – auto bruciate, vetrine rotte, lancio di sanpietrini, l’incendio di una camionetta della polizia ecc. – per far sì che una piccola parte dia un valore totalmente diverso alla mobilitazione di piazza e renda pressochè indecifrabile sul cosa ci sia dietro a queste forme, che da aggregazione significativa si trasformano in conflitto sociale.

Essere in piazza infatti ha un significato simbolico e il numero dei manifestanti e la riuscita della partecipazione ha un valore che può essere amplificato dalle rappresentazioni dei media, interpretato dalle forze politiche, raccontato dagli opinionisti eccetera.

Ma quando interviene la violenza, lo scontro fisico con le forze dell’ordine, il significato simbolico si smarrisce e resta solo amarezza e frustrazione anche in molti che vi hanno partecipato; tanto da chiederci se nell’epoca della comunicazione digitale, la “piazza”, non più governabile, sia solo un’ambiente per creare disordini da parte di frange estremistiche.

Le masse del Novecento – rileva nell’articolo “Che cosa significa la piazza oggi” il sociologo e saggista, Giovanni Boccia Artieri – non sono le moltitudini di oggi; non abbiamo più a che fare con il movimento organizzato della classe operaia, con le grandi organizzazioni politiche. Gli indignati sono una moltitudine che racchiude sotto uno stesso termine ombrello una molteplicità di differenze, anche estreme.

La rete ci ha anche insegnato che possiamo provare a rivedere la nostra idea di partecipazione e di utilità dell’informazione condivisa, uscendo dal paradigma novecentesco fatto di attivismo politico in cui il politico coincideva con il partitico e dei media di massa da cui ci siamo lasciati rappresentare, necessariamente, durante la nostra Storia di cittadini.

Le manifestazioni di massa hanno rappresentato nel Novecento un momento fondamentale per lo sviluppo della democrazia; si sono misurate con l’evoluzione dei linguaggi mediali fino a riuscire a interpretare le logiche di notiziabilità che le ha trasformate spesso in happening pieni di inventiva, miscelando la capacità di informazione con quella dell’intrattenimento. “È stata una grande festa”, abbiamo spesso sentito dire. Ricorda Boccia Artieri, ma oggi sempre più spesso dalla festa in piazza passiamo alla “guerriglia urbana”.

Grazie al digitale possiamo invece portare la voce dell’indignazione sul territorio senza essere tutti in un unico luogo. Possiamo connetterla senza essere co-presenti. Possiamo partecipare attraverso modi diversi che mostrano sfumature che vanno dal comunicare all’esserci.

Retwittare è una forma di partecipazione? Commentare gli eventi raccontati dai social network è una forma di partecipazione? Aggregare contenuti è una forma di partecipazione? Aprire i propri spazi sociali online per dare visibilità al racconto degli eventi è una forma di partecipazione? Si chiede infine Boccia Artieri, e certamente la nostra contestazione avrebbe più potenziale e una diffusione enorme, senza prestare il fianco a inutili e controproducenti violenze.

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