L’invasione dell’Ucraina da parte dello zar Putin ha gettato l’economia in una specie di frullatore. Le tensioni sui prezzi delle materie prime in realtà erano evidenti già da molti mesi ma il conflitto ha amplificato un fenomeno che dovrebbe essere monitorato con grande attenzione dai Governi e dalle istituzioni nazionali e internazionali che in qualche modo svolgono funzioni di controllo sul funzionamento dei mercati.
Osservando l’accelerazione dei prezzi di molti beni si potrebbe ipotizzare una metamorfosi dell’Ucraina, da paese tra i più poveri al mondo a granaio del pianeta e fornitore di materie prime rare e indispensabili all’economia globale. E’ ovvio che i timori di una escalation del conflitto fanno lievitare le quotazioni di qualsiasi bene, a cominciare dall’energia dove, invece, la Russia fornisce il 34% del fabbisogno di gas all’Europa.
In questo frullatore finisce un po’ di tutto. Comprensibile l’impennata dei carburanti, in parte quella dei cereali, molto meno quella della soia che in 12 mesi ha visto raddoppiare le quotazioni o del caffè che segna nello stesso arco temporale un incremento del 160%. Ma se si scende nella catena della trasformazione dei prodotti fino ai servizi, si possono cogliere autentiche perle. Ad esempio gli stabilimenti balneari della riviera romagnola hanno annunciato rincari ai listini del 30-40% per la prossima stagione estiva per bilanciare gli incrementi dei costi. A meno che ogni estate non procedono al rinnovo di ombrelloni e sdraie risulta difficile comprendere quali aggravi di costi devono sopportare.
Il prezzo de gasolio supera quello della benzina, poiché la domanda è più rigida col 95% dei camion alimentati a gasolio.
Il clima di guerra, l’incertezza, la paura di una prolungata fase di instabilità e soprattutto l’effetto delle sanzioni rappresentano il volano degli aumenti vertiginosi che stiamo subendo. Al tempo stesso, tuttavia, non si registrano contrazioni significative nella disponibilità di materie prime quali gas, petrolio e agroalimentare.
Stanno emergendo alcune spie che indicano che in molti casi i rincari hanno altre spiegazioni. Negli ultimi giorni ad esempio il prezzo alla pompa del gasolio ha superato quello della benzina. Eppure il prezzo industriale continua ad essere superiore per la benzina. Una possibile spiegazione è che nella filiera del carburante ci siano comportamenti furbeschi, confermati dalla carenza di gasolio sull’extrarete. In pratica se ho la certezza che domani il prezzo alla pompa del gasolio sarà superiore a oggi perché mantenere inalterato il flusso di rifornimenti? La tentazione del profitto extra è molto forte, anche perché la domanda di gasolio è molto più rigida di quella della benzina, poiché il 95% dei camion che trasportano le merci sono alimentati a gasolio.
Auspicabile un rigoroso monitoraggio delle istituzioni per verificare i comportamenti e l’andamento dei prezzi nei vari passaggi di ogni filiera
Una fotografia simile riguarda l’agroalimentare. Chi produce le farine può essere tentato a rallentare i ratei produttivi per massimizzare i guadagni. La struttura del sistema produttivo inoltre reagisce in modo altamente differenziato davanti alle tensioni sui prezzi. L’anello più debole è rappresentato dai produttori di beni intermedi e dal segmento della logistica che hanno maggiori difficoltà a scaricare gli aumenti di prezzo, a differenza del venditore al pubblico e del fornitore di materie prime.
Sarebbe auspicabile una rigorosa azione di monitoraggio da parte delle istituzioni per andare a verificare i comportamenti e l’andamento dei prezzi nei vari passaggi di ogni filiera. Potrebbe inoltre scattare all’improvviso una sorta di psicosi collettiva, come all’inizio della pandemia, con assalti agli scaffali dei supermercati, innescando un circolo vizioso di razionamento dell’offerta anche in assenza di criticità nella fornitura di prodotti. Lo stesso incremento dei costi energetici non può spiegare ogni rincaro. Per un tir il carburante rappresenta il 35-40% dei costi, ma per oltre il 50% delle imprese la bolletta pesa per meno del 3%.
Per alcuni beni e servizi potrebbero essere fissati dei tetti ai prezzi
Altro elemento che incide sui rincari è la speculazione finanziaria. Nella fase più acuta della pandemia poteva sembrare un paradosso che a fronte del crollo della produzione a livello mondiale i mercati azionari, dei titoli di Stato e delle materie prime segnavano rialzi rilevanti. La ragione risiede nell’eccesso di offerta di liquidità. Un Paese come l’Italia l’anno scorso ha registrato un aumento dei depositi bancari di circa 100 miliardi, a livello globale secondo elaborazioni del Fondo Monetario Internazionale i governi hanno fatto nuovo debito per 22mila miliardi di dollari per erogare contributi e sussidi. Una parte consistente di questa mole di liquidità si è riversata sui mercati producendo ottimi guadagni (il valore della Borsa di Milano in 12 mesi è aumentato di oltre 150 miliardi), soprattutto investendo sui future delle materie prime, di qualsiasi genere.
Un controllo sulle dinamiche dei prezzi e della disponibilità di beni e servizi dovrebbe essere seriamente preso in considerazione, senza nemmeno escludere, in via emergenziale, la fissazione di tetti. Comunque dal giorno dell’invasione dell’Ucraina il future sul succo d’arancia ha accusato una perdita del 30%. Mistero dei mercati.